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Architettura, Arte, Museo

Con un dialogo tra Cacciari, Forte e Vitiello

Autori: Cuomo Alberto

Formato: 21 x 29,7 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 192

Anno edizione:

ISBN: 9788849205770

EAN: 8849205775

UB. INT. : T718E V01d V12d

Contenuto

Il titolo “Abitare l’arte”, che rinvia sia alla abitabilità dell’arte nel museo, dello stesso museo come arte, sia al senso del nostro abitare l’attuale farsi arte dell’architettura e, generalmente l’odierna estetizzazione del mondo, è stato mutuato, come è esplicito, da Heidegger, e non intende perorare alcuna utopia estetica, né quella di un mondo totalmente reso alla tecnica, né quella di un poetico abitare la terra, nel considerare che, se l’arte, la bellezza, la cháris, si coniuga, come insegna Massimo Cacciari, con l’impugnatura dell’arma, di cui ha analogo etimo, e con la belligeranza, quella anche tra senso e non senso, l’abitarla non induce sicuramente finali armonie. Del resto, anche in Heidegger, i reciproci rispecchiamenti dei “quattro” non sembra si acquietino né nel conforto della casa nella Selva Nera né all’ombra del ponte sul Reno, della sua techne, e l’arte stessa, il poetico, è piuttosto il campo del conflitto tra Mondo e Terra, più che di un armonizzato stare e di conclusi sensi. Il tema proposto in questo volume si è altresì determinato dal verificare come, in presenza di tanta architettura di “superficie” incline a giocare i segni costruttivi oltre le definizioni tipologiche storiche ed i medesimi contenuti d’uso, viva altresì l’aspirazione a riconoscere ancora al costruire un radicamento fondativo che ne detti le leggi compositive attraverso cui irretire il senso del nostro essere. Di recente, infatti, Kenneth Frampton, rilevando, più che nel “topos” e nel “typos”, nel “tekton” il fondamento ontologico dell’architettura, e sottolineando come questa “presenta ed al tempo stesso rappresenta la propria sostanza al mondo vitale”, ha manifestato il proprio giudizio critico sulla “dematerializzazione” della costruzione proposta dall’uso dei mezzi informatici, la quale nella “vuota esteticizzazione che caratterizza così spesso la nostra architettura recente”, fa decadere, con la tettonica, anche la profondità della articolazione di presenza e rappresentazione e, quindi, non solo i contenuti funzionali, ma gli stessi significati d’esistenza veicolati dalla costruzione. Ebbene, se, contrariamente a quanto afferma Frampton, le architetture che derivano le proprie forme dalle composizioni del virtuale sono intrinsecamente tettoniche, nel senso che quelle forme, elaborate al computer, non sono che il manifesto dei diagrammi delle isostatiche dei materiali già contemplati dai programmi informatici, per altro verso è proprio lo spingersi del “tekton” nel solco della terra, la scienza del calcolo statico che fonda l’equilibrio della costruzione sulla base terrena, ad evolvere verso la volatilità ed il cielo, secondo quanto mostra Schopenhauer, il quale individua nella tettonica che eleva l’architettura la capacità di sottrarre la pietra alla “voluntas” della gravità rivolgendola ad una aerea “noluntas”. Il tema del confronto tra architettura ed arte apre quindi alla interrogazione sulla stessa costituzione problematica dell’architettura contemporanea, oltre gli esorcismi che la attribuiscono ad un definito fondamento, ed in fondo è su questo nodo che si sono intrattenuti i diversi interventi, qui riportati.

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