Giardini a Pavia
Principeschi, monastici, effimeri, magici, segreti
Autori: Erba Luisa
Formato: 22 x 24 cm
Legatura: Filorefe
Pagine: 160
Anno edizione: 2005
ISBN: 9788849207569
EAN: 8849207565
UB. INT. : T405F T517C V03d V91g
Contenuto
Le pagine di questo libro offrono la sapiente lettura dei tanti giardini di Pavia, che formano un panorama ricco e articolato, in molti casi poco conosciuto forse perfino da chi vive nella città. È una storia, quella che ci viene raccontata da Luisa Erba, solo apparentemente specialistica, che in realtà ci permette di cogliere molti aspetti delle vicende dell’intera società pavese dal Medioevo all’età contemporanea. I giardini infatti non vi sono illustrati solamente dal punto di vista dei criteri con cui furono progettati e realizzati, dell’analisi dei loro elementi compositivi, dell’identificazione dei loro artefici e delle loro destinazioni d’uso. Ma sono considerati anche come i manufatti, meglio le architetture, che riflettono i modi di pensare e di interpretare la realtà dei loro committenti e dei loro creatori. Proveremo qui a soffermarci su alcune situazioni che ci sono sembrate particolarmente significative da questo punto di vista. Anzitutto la svolta innovatrice, avviata a seguito delle soppressioni religiose teresiane, giuseppine e napoleoniche, che sospinse verso nuove direzioni gli antichi giardini monastici. Valgano quali esempi il giardino dei Rocchettini di Sant’Epifanio che nel 1773 venne trasformato in Orto Botanico dell’Università, il più illuminato tra tutti i giardini, e il complesso di San Giacomo della Vernavola che nel 1806 passò all’Università di Pavia e diventò Orto Agrario. Alle soppressioni si connette anche l’immissione sul mercato di una grande quantità di lapidi, sculture, iscrizioni, lastre tombali, capitelli, porzioni di colonne che trovarono posto nei giardini, diventandone elemento di arredo e contribuendo a infondere ad essi tutta la suggestione e l’atmosfera romantica. Tra i più noti giardini di questo tipo, l’autrice rievoca quello del marchese Luigi Malaspina e quello di Villa Maggi, impiantato sul complesso cistercense di San Pietro in Verzolo, che si caratterizzarono entrambi per la scelta dei loro proprietari di abbandonare, in nome della ricerca del magico incanto dei parchi inglesi, la struttura razionalistica e artificiale dei giardini francesi, così come si erano diffusi tra gli aristocratici nella prima metà del Settecento. A imprimere alla storia dei giardini una forte accelerazione verso la modernità intervenne, nei primi anni dell’Ottocento, l’invenzione del verde urbano, che a Pavia si espresse nell’allea di piazza Castello, formata di gelsi, pioppi, platani, robinie e mimose, piantate sullo spiazzo ricavato a seguito dell’interramento del fossato che aveva in precedenza separato la città dalla Cittadella. Il verde, che prima si intravedeva soltanto sopra i muri di cinta dei monasteri e dei palazzi, entrò così a far parte della fisionomia urbana in maniera tangibile. E però dando origine ad una prima, grave alterazione che si rese visibile nel secolo successivo. Con il Novecento, lamenta Luisa Erba, il giardino, diventato verde pubblico, si restrinse vieppiù fino ad assumere la forma dell’aiuola. Composizione, quest’ultima, che si diffuse rapidamente nel tessuto urbano, aprendo la strada a una nuova figura produttiva, presente ancora oggi: il vivaista, ossia l’esperto commerciante che copre i nuovi piccoli spazi con le essenze più varie, non sempre scelte in maniera congrua. Un esempio può essere offerto dal discutibile assortimento delle specie utilizzate per la realizzazione delle aiuole di piazza Leonardo da Vinci (1934). Il Novecento portò con sé anche altri interventi inopportuni: i danni al giardino Malaspina causati dalla presenza di un parallelepipedo in ferro e vetro e dall’inserimento dei volumi tecnici per il riscaldamento del Teatro Fraschini; la morte delle piante del giardino di Villa Maggi, dovuta ai procedimenti industriali dello stabilimento della Snia Viscosa, un’area industriale dismessa negli anni Ottanta e poi fortemente degradatasi; la devastazione del giardino di Campeggi a seguito della costruzione della tangenziale ovest; e infine il fenomeno della demolizione di alcuni giardini e della contemporanea realizzazione di altri: due momenti all’apparenza separati tra loro, ma in realtà strettamente connessi in un unico obiettivo: quello di consentire, tramite la concessione di appalti, la possibilità di buoni guadagni a pochi, abili profittatori, senza alcun vantaggio per la cittadinanza. Non è rimasto estraneo a queste procedure nemmeno il grande parco voluto da Gian Galeazzo Visconti nel XIV secolo per collegare il Castello con la Certosa. Esso peraltro è riconoscibile ancora oggi nel suo impianto originario, nonostante le molte vicende storiche che lo hanno in parte alterato. Destinato alla caccia, era ricchissimo di ogni tipo di animali: una presenza, quest’ultima, che andò diminuendo nei giardini dei secoli successivi, fino a cessare del tutto nel Settecento. Da qualche anno l’area del Parco Visconteo e i suoi futuri sviluppi sono diventati oggetto di un dibattito appassionato da parte delle istituzioni e delle associazioni politiche, sociali e culturali che operano nella Provincia di Pavia. Infine ancora un punto, che potrebbe forse aprire la strada a una svolta positiva per il nostro moderno sentire: la possibilità per i cittadini pavesi di intervenire in difesa del giardino di Montefiascone che, protetto per anni dalla speculazione edilizia per via della vicinanza a quello stesso stabilimento Snia che aveva causato il degrado del giardino di Villa Maggi, si trova ora esposto, dopo la chiusura della fabbrica e il conseguente aumento del valore dei terreni circostanti, al rischio di essere rovinato dal progetto di costruzione di una strada. Con questi semplici e brevi richiami abbiamo tentato di mostrare la ricchezza e la portata dei problemi che si affollano e si incrociano intorno alla creazione e all’uso dei giardini di Pavia. Essi hanno suscitato in noi il desiderio che l’autrice continui a studiare e ad approfondire il tema da lei scelto, e a raccontarci ancora dei giardini e dei loro rapporti con le diverse categorie sociali che li hanno realizzati e modificati nel corso dei secoli, delle ragioni che li hanno prodotti, dei linguaggi di volta in volta diversi con cui essi si sono espressi per venire incontro a quelle ragioni, dei loro legami con le altre forme artistiche e architettoniche, dei modi e degli scopi con cui sono stati utilizzati e con cui pensiamo di utilizzarli, sperabilmente migliorandoli, noi oggi.
Agnese Visconti
INDICE
Introduzione
I primi secoli e il viridarium regio
I giardini medioevali e un albero dei falli
Il Parco Visconteo
I giardini della Certosa
I Tacuina sanitatis e l’orto dei semplici
Un giardino nel legno
Il Cinquecento
La Cittadella
Il giardino del Collegio Borromeo
Il giardino delle Muse in Piazza Grande
La fonte d’Ippocrene nel giardino Borromeo
Il Parnaso del Collegio Ghislieri
Il verde negli apparati effimeri urbani
Il giardino in tavola
I giardini nel catasto teresiano
I giardini della nobiltà
I giardini dei Collegi universitari
I giardini monastici
Un giardino magico
L’Orto Botanico
Giuseppe Moretti e il suo trattato
L’orto Agrario dell’Università
Il giardino Malaspina
I giardini romantici e le raccolte archeologiche
Il giardino Maggi
Il giardino di Campeggi
Il giardino della Villa Ferretti
Il giardino di Monte Fiascone
Il giardino della Villa Flavia
Il giadino della Villa Jemoli
L’allea di Piazza Castello
Verde urbano: strade e piazze
I giardinetti di Piazza Leonardo da Vinci
Il verde di Palazzo Botta
I giardini pubblici del Castello Visconteo
Piccoli giardini segreti
Bibliografia
Parole chiave
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