Pacifism. Omaggio a Britten
Autori: Bini Annalisa, Braghiroli Giorgio
Formato: 22 x 24 cm
Legatura: Filorefe
Pagine: 64
Anno edizione:
ISBN: 9788849208993
EAN: 8849208995
UB. INT. : T311B V13i
Contenuto
“La guerra non può essere modificata, deve essere abolita” Albert Einstein, 1918
Vero e proprio grido contro la guerra, la mostra ospita parte della collezione di opere d’arte raccolta da Peter Pears, tenore e compagno di Britten nella vita e nell’arte. Un nucleo di opere è stato selezionato tra quelle conservate nella Red House di Aldeburgh, già residenza dei due musicisti e ora sede della Britten-Pears Foundation, già esposte nelle mostre The Darkened World e Fire and Iron, curate dalla Britten-Pears Library presso la stessa Red House nel 2002 e 2003, sull’onda emotiva sollevata dall’orrendo attentato alle Twin Towers
di New York nel settembre 2001, e dal susseguirsi
di guerre e attentati terroristici che continua a insanguinare la scena mondiale all’inizio del nuovo secolo.
L’esecuzione del War Requiem in un momento storico come quello che attraversiamo assume di per sé la valenza di gesto simbolico, come quello che ebbe al suo nascere nel 1961, e ha portato quindi i curatori della mostra ad andare al di là della semplice documentazione della genesi di quest’opera paradigmatica del pensiero del Novecento. Partendo dal messaggio forte insito nell’opera di Britten, commissionata dalla BBC al compositore nel 1958 per celebrare l’inaugurazione della nuova cattedrale di Coventry, luogo simbolo delle devastazioni belliche all’apertura del secondo conflitto mondiale, ci siamo trovati ‘spontaneamente’ a ripercorrere alcune tappe nelle quali con più incisività si espresse l’impegno civile di esponenti del mondo artistico europeo, tentando un confronto fra il clima culturale in Gran Bretagna e in Italia, due realtà per molti versi antitetiche.
La consapevolezza della gravità dell’entrata in guerra con gli alleati occidentali portò il governo inglese a scelte “programmatiche”, con l’istituzione di organismi nazionali (CEMA, Council for the Encouragement of Music and Art; WAAC, War Artists’ Advisory Committee) che riunirono i maggiori esponenti del mondo artistico incaricati di ‘fotografare’ l’Inghilterra pre-bellica e di raccogliere attraverso la propria opera i fondi necessari al soccorso civile alle popolazioni.
Il CEMA condivideva con il WAAC una premessa di base, che cioè la musica e le arti fossero una fonte di orgoglio nazionale, e rappresentassero una potente forza spirituale di civilizzazione. Convinzioni di particolare importanza in epoca bellica, che gettarono le basi per la rinascita della cultura britannica nel dopo guerra: molti degli artisti coinvolti nelle attività di queste organizzazioni ebbero infatti un ruolo fondamentale nella cultura inglese del secondo Novecento. Britten e Pears prestarono ripetutamente la propria attività artistica in favore del CEMA, e nei loro numerosi recital vennero presentati per la prima volta al pubblico i cicli di English Folksongs musicati da Britten, mentre la gente, riunita, dimenticava seppure per breve tempo gli orrori della guerra.
Niente di simile nell’Italia fascista, dove la propaganda di regime seppe sapientemente sfruttare a sostegno dell’avventura bellica gli entusiasmi interventisti degli intellettuali di parte (basti pensare agli epigoni del movimento futurista espressi dall’aeropittura di Marinetti).
La mostra ospita parte della collezione di opere d’arte raccolta da Peter Pears, tenore e compagno di Britten nella vita e nell’arte. Un nucleo di opere conservate nella Red House di Aldeburgh, già residenza dei due musicisti e ora sede della Britten-Pears Foundation, è stato selezionato tra quelle già esposte in due mostre dal titolo “The darkened World” e “Fire and Iron”, curate dalla Britten-Pears Library e da Andrew Plant presso la stessa Red House nel 2002 e 2003, sull’onda emotiva sollevata dall’orrendo attentato alle Twin Towers di New York nel settembre 2001, e dalla successiva ondata di guerre e attentati terroristici che continua a insanguinare la scena mondiale all’inizio del nuovo secolo.
Partendo dall’opera compositiva di Britten, il cui costante e coraggioso impegno civile contro la guerra è ben illustrato dal saggio di Donald Mitchell in questo catalogo, le due mostre di Aldeburgh offrivano un panorama quanto mai ricco dell’impegno civile dei due musicisti e di larga parte degli intellettuali inglesi impegnati nel denunciare gli orrori della guerra, prima durante e dopo il secondo conflitto mondiale.
L’esposizione presente, accanto ad un gruppo di opere dell’espressionista tedesco Rohlfs, particolarmente caro a Pears, ripropone alcuni esempi di artisti della cerchia del WAAC più vicini a Britten (Elisabeth Frink, John Piper, Keith Vaughan), oltre alla serie completa in facsimile dei quattordici disegni tracciati da Henry Moore dopo la sua permanenza nelle gallerie della metropolitana londinese, trasformata in rifugio antiaereo, dove le figure dei dormienti appaiono avvolti nelle coperte come in un bozzolo. Appunto Henry Moore insieme a John Piper, amico e a lungo compagno di esperienze artistiche con Benjamin Britten, delle cui opere teatrali firmò molti allestimenti scenici, rappresentano due fra i maggiori esponenti della così detta corrente neoromantica della pittura inglese del Novecento. La pittura neoromantica, sebbene ispirata da luoghi precisi, era però paradossalmente dedita a rendere nella pittura ‘l’anonimato’ di un sito, la sua melanconia senza luogo. Partendo da un sito specifico, questi artisti ne distillavano un terreno universale, evocativo piuttosto del proprio paesaggio mentale che di un preciso angolo naturale. Sotto l’etichetta di neoromantici vennero accomunati dalla critica numerosi artisti, tra cui John Piper, Graham Sutherland, Francis Bacon e Henry Moore e solo più tardi, dopo la guerra, il termine prese un significato più specifico, riferito al revival dell’interesse per il paesaggio che alcuni artisti inglesi manifestarono sotto l’influenza di Sutherland. Fu un movimento artistico pervaso dalla nostalgia, e incline al melodrammatico, ma rappresentò uno stile appropriato per soggetti iconografici in tempo di guerra, e fu usato infatti dai suoi esponenti per descrivere le scene di devastazione, la luce innaturale delle mine, gli accampamenti. Nel caso di Piper, la componente teatrale insita nell’estetica neoromantica lo aiutò nel descrivere gli effetti devastanti dei raid aerei tedeschi su città come Bath o appunto Coventry, ricche di storia e testimonianze architettoniche.
La maggior parte degli artisti inglesi considerò la seconda guerra mondiale come un fatto necessario, non come una crociata politica; in pittura, in poesia e in musica i toni erano sommessi, non di protesta ma passivi, la guerra doveva essere accettata, e osservata. Anche i disegni di Henry Moore, capolavori documentari ma anche visionari, evocano aspetti essenziali della condizione umana (il critico John Russel vi scorse una “tremenda passività”). Il WAAC, fondato nel novembre 1939, aveva fondi sufficienti per supportare gli artisti: trenta di loro ebbero salari regolari per lunghi periodi, mentre un centinaio ricevette specifiche commissioni, e le loro opere vennero esposte nell’Imperial War Museum e alla National Gallery o donate a gallerie d’arte di paesi del Commonwealth. Tuttavia molti di loro si lamentarono per essere tenuti lontani dagli eventi cruciali, e più tardi alcuni riconobbero che verso la fine del conflitto il livello generale delle loro opere era mediocre e meramente narrativo. Quel che sembra mancare nella pittura inglese della Seconda guerra mondiale è un’eco vibrante della sofferenza umana e – come più tardi per la guerra del Vietnam – fu in realtà la fotografia (per esempio quelle di Lee Miller nei campi di concentramento) a lasciare le testimonianze più vive destinate a influire sulle coscienze del dopoguerra.
Non così in Italia. Del panorama italiano, si è scelto di dare alcuni esempi di artisti che con la propria opera hanno lasciato indelebili testimonianze degli orrori legati alla Seconda guerra mondiale, primi fra tutti Corrado Cagli e Mirko Basaldella, ma anche Renato Guttuso e Gastone Novelli.
Di Corrado Cagli, una serie drammatica di disegni testimonia la tragedia dei campi di concentramento, come anche i due disegni e la maquette della Croce di Buchenwald opera di Mirko Basaldella, autore di un’altra serie di disegni che fissano nella memoria le immagini di altre crudeltà perpetrate contro prigionieri e partigiani.
Una sezione della mostra, prettamente fotografica, è dedicata alla Cattedrale di Coventry, per la cui inaugurazione del 1961 venne composto il War Requiem, su commissione della BBC. Quando nell’autunno 1940 i bombardieri tedeschi rivolsero la propria attenzione al di fuori di Londra, Coventry fu la prima città a subire un attacco prolungato. Durante la notte fra il 14 e il 15 novembre, 568 persone vennero uccise e 863 ferite in modo grave, e due terzi della città medievale venne distrutta, compresa la Cattedrale.
In un momento in cui le notizie delle incursioni aeree nemiche erano in genere taciute, il bombardamento di Coventry ebbe una pubblicità senza precedenti finendo per diventare un’arma di propaganda. La Cattedrale devastata divenne l’argomento di fondo delle trasmissioni radiofoniche inglesi nel Natale del 1940, compreso il canto natalizio intitolato “Coventry” il cui tema preannuncia quello del massacro degli innocenti. Le parole del parroco “La ricostruiremo” entrarono nel mito.
Il 15 novembre 1940 il pittore inglese John Piper (1903-1992) venne inviato dal WAAC a dipingere le rovine della Cattedrale di Coventry. La tela originale di Piper è conservata alla Galleria di Manchester, in mostra viene esposta una riproduzione su seta, realizzata nel 1987 per celebrare il venticinquennale della nuova cattedrale di Coventry.
La cattedrale in realtà non era un monumento ‘locale’, l’eco dei bombardamenti che avevano distrutto la cittadina medievale di Coventry era riecheggiata in tutto il mondo. Nel 1951 all’architetto Basil Spence venne ufficialmente assegnato l’incarico per la nuova cattedrale di Coventry, e questi coinvolse immediatamente il pittore murale John Hutton (1906-1978), che aveva incontrato in Francia nel 1944. Hutton fu tra i primi artisti cui Spence si rivolse, per realizzare la sua visione della nuova cattedrale. Il progetto di Spence nacque dalle rovine della costruzione medievale, “presentata come un giardino di resti che abbracciano uno scenario all’aria aperta”, tutto ciò a voler sottolineare la funzione di memoria bellica e di monumento nazionale della cattedrale. Sebbene alcuni particolari siano cambiati durante la progettazione e la costruzione, altri – in particolare gli arazzi e le vetrate – vennero fissati fin dall’inizio. Le commissioni assegnate con molto anticipo da Spence agli artisti impedirono che questi elementi decorativi venissero sacrificati per economizzare sui costi.
Nel progetto originale di Spence la descrizione più dettagliata riguarda la sequenza cromatica delle finestre della navata – bianchissimo vicino al fonte battesimale, verde e giallo per rappresentare la gioventù, rosa e rosso per l’adolescenza, multicolore per la maturità, blu scuro e porpora per la saggezza, ed infine le vetrate dell’altare, di vetro dorato. Su un lato era rappresentato Dio, sull’altro l’Uomo. Spence era piuttosto diffidente nella scelta degli artisti per le vetrate colorate (si tentò senza successo di coinvolgere Fernand Léger, la cui opera modernistica di “condanna della guerra” realizzata ad Audincourt sembrava adatta per Coventry), ma visitando il Royal College of Art nel marzo 1952 egli vide i lavori di Keith New e Geoffrey Clarke, allievi di Lawrence Lee, che lo emozionarono oltre ogni dire. Incaricò subito Lee, New e Clarke di disegnare le dieci vetrate della navata, specificando che fossero “vetrate moderne, con colori ricchi e brillanti e con un disegno dal forte tratto”.
Clarke lavorò più di tutti, realizzò le vetrate di tre finestre della navata, la croce e il canopo (una corona di spine) per la Cappella di Cristo, un altare per la Cappella della Croce, e la croce per il tetto.
Uno dei particolari che più colpirono della nuova cattedrale fu la parete occidentale, una vasta distesa di vetro attraverso la quale si potevano scorgere le rovine della vecchia cattedrale. Per disegnarla Spence scelse Hutton che, data la sua lunga esperienza come pittore murale, era abituato a dipingere su larga scala. Ritenendo superati i metodi tradizionali di incisione su vetro, Hutton sviluppò una nuova tecnica che gli consentì una maggiore flessibilità di tratto, conferendo una profondità quasi scultorea al disegno inciso. Nella sua composizione di file alternate di santi e angeli volanti, gli angeli rivelano una maggiore spiritualità, mentre il drappello di santi è un ricordo molto realistico dei dormienti nei rifugi disegnati da Henry Moore, ma abbozzati anche da Hutton nel 1940.
L’ultima delle sezioni fotografiche è dedicata a Benjamin Britten, un compositore che attraverso tutta la propria lunga e brillante carriera seppe dimostrare con stupefacente coerenza l’importanza dell’impegno civile dell’artista in favore della Pace; un dono che il “Dona nobis pacem” che chiude il War Requiem invoca non solo per quanti non sono più di questo mondo, ma soprattutto per coloro che tuttora percorrono il difficile cammino dell’esistenza terrena. Nessun artista poteva lasciarci messaggio più attuale.
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