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Roma fino al mare – Rome towards the sea

Facing English text

Formato: 21 x 29,7 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 80

Anno edizione: 2005

ISBN: 9788849209129

EAN: 8849209126

UB. INT. : T448B V15d V43d V26e

Contenuto

Roma fino al mare.
Dal Campidoglio alle spiagge di Ostia, uno sguardo lungo la direttrice sud-ovest, che dal centro storico si spinge fino alle rive del Tirreno: una sola multiforme visione, una metropoli giunta fino al mare. Colori e ombre di una città senza tempo, perché Roma è il tempo stesso, il mutamento dentro l’eternità. Il lavoro di Miro Gabriele ed Enrico Fontolan racconta apparizioni e sorprese di un lungo viaggio, le infinite angolazioni della luce, che passa su ogni cosa come una carezza: sui monumenti, sulle strade, sulle case, sulle periferie, sui riflessi della sabbia, sulle onde del mare.

Rome towards the sea.
From the Capitol to the beaches of Ostia, a glance along the line to the South West, that from the old town centre reaches the shores of the Tyrrhenian Sea: one multiform vision, a metropolis that reaches the sea. Colours and shadows of a city without time, because Rome is time, the change within eternity. The work of Miro Gabriele and Enrico Fontolan tells apparitions and surprises of a long journey, the infinite angles of light, that touches everything like a feather: monuments, streets, houses, suburbs, the reflections of sand, the waves of the sea.

Dal Saggio introduttivo di Diego Mormorio

Roma, nessun’altra

(…) Siamo qui e ci restiamo, dunque: pensando al passato della città non meno che al suo futuro. Per andare verso quest’ultimo abbiamo macchine e progetti, mentre quando pensiamo al passato dobbiamo viaggiare sopra quello che di esso ci resta e sulla nostra immaginazione. Ci vorrebbe un miracolo, una macchina del tempo. Se ce l’avessimo, questa macchina, e fosse ad ognuno consentito di scegliere solo un secolo fra tutti quelli che Roma ha avuto, io non esiterei: non sceglierei il tempo dei Cesari, né il Rinascimento o gli anni del Caravaggio, il Medioevo o il Settecento. Vorrei essere a Roma nell’Ottocento. In quella che Silvio Negro ha chiamato una “metropoli paesana”. Quale bellezza era Roma nell’Ottocento! Unica e irripetibile, chiamava a sé frotte di pellegrini e di viaggiatori per puro diletto, di contemplatori della bellezza e della storia. La città più fotografata del secolo: da fotografi arrivati da tutta Europa, che proprio con le loro immagini ci hanno lasciato la prova incontrovertibile di quel fascino. Per dirla con Jules Michelet, che vi visse e che nel 1891 pubblicò a Parigi il suo Rome: “Metà della città era un giardino abbandonato. Le vigne stanno sul Campidoglio al posto del senatori. Tutto il Pincio, l’Esquilino, l’Aventino e il Palatino, nonché buona parte del Quirinale erano campi coltivati o ville patrizie. Il fiume scorreva, nel suo letto naturale, fra le case, e spesso inondava i quartieri che lo costeggiavano. Un via vai di barche e barconi si svolgeva tra i porti di Ripetta e di Ripagrande”.
Come dice il titolo di un sonetto del Belli, tutt’intorno alla città c’era “Er deserto”: L’unica cosa sola c’ho trovato/ In tutt’er viaggio, è stata una bbarrozza/ Cor barrozzaro ggiù mmorto ammazzato. In realtà, oltre ai briganti, si potevano incontrare pecore, bufali, pastori e malaria. Attraversato quel deserto si arrivava all’incanto dei Castelli Romani, dove ancora sembrava che, dissimulandosi, Diana potesse emergere da un bosco e guardarti negli occhi. Ai tempi in cui scrisse Michelet, una parte del fascino della città era già scomparso, con la costruzione dei muraglioni del Tevere, che fu, possiamo dire, un male necessario. Altri progetti andarono a monte, per una serie di difficoltà tecniche e burocratiche, e soprattutto per le scarse risorse finanziarie della monarchia sabauda. E fu per Roma un’immensa fortuna. Quei progetti prevedevano infatti soluzioni che possiamo a dir poco definire follie. Si voleva, ad esempio, per “ammodernare” la città, sfondare piazza Navona, creare un cavalcavia di collegamento tra il Palatino e il colle del Viminale, costruire grandi piazze davanti al Pantheon e a Fontana di Trevi.
Roma nell’Ottocento! Dei giorni della Repubblica!
Attraversando il Gianicolo può venire un fremito, tanto questo luogo è legato all’ultima battaglia in difesa del sogno mazziniano e garibaldino durato troppo poco: il governo repubblicano del ’49. Pensando ad esso, viene anche da pensare che di tutte le possibilità risorgimentali ci è toccata la peggiore. Ma col tempo tutto passa, e qualche volta si può ricominciare. Così è passata anche la monarchia sabauda. Garibaldi a cavallo ora guarda dall’alto del Gianicolo e Mazzini seduto vede le folle che in certe occasioni si riuniscono al Circo Massimo. Folle che sono segno dei nuovi tempi. Di tempi che stanno cambiando il cuore della città, lentamente e spesso quasi impercettibilmente, con segni nuovi che si assommano ai vecchi, in quell’amalgamazione che Miro Gabriele e Enrico Fontolan hanno raccolto nella loro ricerca fotografica. Una ricerca durata alcuni anni. Ne sono passati infatti almeno cinque dalla prima telefonata di Gabriele. “Vorrei farle vedere alcune immagini di Roma” mi disse. In un primo momento cercai di prendere tempo, di rinviare. Rinviammo. Temevo di essere costretto a dire qualcosa di spiacevole. Roma, infatti, proprio per quell’amalgamazione che si diceva, è molto difficile da fotografare ed espone facilmente i fotografi al rischio della banalità. Alla fine Miro Gabriele venne a trovarmi, portandomi una serie di immagini che furono per me una piacevole sorpresa. “Il lavoro non è ancora completo” mi disse. Per un po’ di tempo non ne ho saputo più nulla, poi lo scorso anno il fotografo è tornato a trovarmi con un suo collega e amico, Enrico Fontolan. Il lavoro era pronto, e l’avevano ultimato insieme. Un bel lavoro: rigoroso e delicato; segno di una passione fotografica che s’intreccia con un’autentica passione per Roma. Meritava dunque di essere esposto, così come merita di essere racchiuso in un libro.
Diego Mormorio

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