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Cinthia Pinotti

Il colore del sé

A cura di: Strinati Claudio

Formato: 22 x 28 cm

Legatura: Rilegato

Pagine: 48

Anno edizione: 2015

ISBN: 9788849229981

EAN: 8849229984

UB. INT. : T447B V12g C01

Contenuto

Catalogo della mostra presso il Complesso del Vittoriano di Roma dal 14 al 28 gennaio 2015

Il lavoro artistico di Cinthia Pinotti è stato fino a poco tempo fa privatissimo, inteso come una sorta di diario che non registra vicende precise ma stati d’animo, momenti di meditazione, di passione, di attesa. L’autrice dipinge da molto tempo ma solo di recente ha sentito l’esigenza di esporre e, conseguentemente, di “esporsi” al giudizio di tutti noi. Non per questo le opere eseguite fino a oggi cambiano di senso quando vengono presentate a un pubblico di intenditori e di appassionati. Ma è probabile che, allora, cambi il punto di vista dell’autrice sulla sua stessa opera e questo solo fatto possa condizionare chi ne prende visione, sia pure a un livello inconscio, perché il visitatore non è tenuto a sapere niente dil presupposti su cui le opere sono nate. Il visitatore più soltanto notare come i quadri della Pinotti siano pensati e formulati quali trasposizioni astratte di uno sguardo che appena si posa sulla realtà circostante, lo distoglie subito per riprodurre sulla tela soltanto gli echi di quello stesso senso di fugacità con cui le cose del mondo vengono sempre inevitabilmente viste. Spesso non ci si pensa ma la maggior parte delle percezioni che noi abbiamo nel corso di una normale giornata in qualsivoglia parte del mondo, all’aperto o al chiuso, sono veloci se non velocissime. Specie adesso l’uso di internet e di mezzi sempre più incalzanti sono altrettanti incitamenti a guardare rapidamente e a non vedere mai pacatamente. Certo ognuno, poi, cerca momenti di contemplazione o meditazione, e riesce anche a conseguirli, ma la vita che facciamo ce li complica. E l’autrice tutto questo lo avverte bene nel suo modo di dipingere. I quadri della Pinotti, infatti, sono rapidissimi in quanto a percezione che vi è depositata, ma attentissimi in quanto a stesura. Col tempo l’autrice ha approfondito sempre più il suo mondo di fare. Le sue superfici si sono ispessite, la densità stessa della materia cromatica è cresciuta. E proprio da questo punto di vista si può capire come mai una esperienza così intima e riservata si stia indirizzando verso il dialogo e il confronto con l’altro e con il vivo desiderio di rendere pubblico il proprio lavoro artistico che significa la propria spontaneità, la propria riservatezza, la propria serietà. Lo si può capire captando alcune delle poche e sporadiche osservazioni che l’autrice ha fatto sulla sua arte e che possono dare delle chiavi di lettura appropriate per accostarsi all’insieme della sua opera. Un raro esempio è costituito, in tal senso, dal quadro del Tricolore che le fu commissionato e che la pittrice ha poi eseguito e commentato. Vivendo in una cultura soprattutto giuridica e filosofica, la Pinotti ha considerato l’impresa di dipingere la bandiera nazionale come un compito impegnativo e delicato non solo sul piano estetico ma proprio su quello concettuale. Ha così approfondito la vicenda della bandiera italiana, anche sotto il profilo ideale e ideologico, sia per consolidare un approccio giuridicamente e storicamente fondato, sia per arrivare nel contempo a un risultato esteticamente efficace e coinvolgente. Ha osservato, quindi, come la sua idea non fosse tanto quella di una rappresentazione del simbolo e della virtù allegorizzata dalla bandiera stessa, quanto quella della percezione, tipica forse di qualunque bandiera e del Tricolore italiano in particolare, scaturente dalla inevitabile consuzione della stoffa e dallo sventolio. La bandiera, infatti, non è tale se non reca su di sé i segni del tempo che passa e della gloria conseguita a seguito di drammi se non tragedie accumulati intorno a quel nobile simbolo. Ma poi non è tale se non sventola e lo sventolio ne esalta la funzione contribuendo a renderla sempre diversa agli occhi di chi la guarda. E da qui la Pinotti deve aver tratto l’ispirazione che cercava, che è quella di una verità più profonda di quella delle apparenze immediate, ma è l’unica da cercare perché contiene in sé la commozione, l’ardore, il senso di ciò che è giusto e va costantemente ricercato. La sua bandiera, infatti, dà la sensazione del mutamento continuo anche se è ben riconoscibile. Ha perso ogni sospetto di inerzia, di oggetto e diventa anima e corpo, gioia e sofferenza, bellezza e consunzione. E quella rappresentazione funge un po’ da bussola per orientarsi in tutta la produzione della Pinotti tesa a un rischiaramento della coscienza e all’acquisizione di un superiore grado di esperienza, emotiva e razionale nel contempo.
Perché, per ognuno di noi, il passo tra l’incomprensione e la piena soddisfazione è breve e proprio in quello spazio si incunea il lavoro creativo di un’artista come la Pinotti. Le sue opere astratte sono piene di contenuto e di intento narrativo. Rappresenta, la nostra pittrice, personaggi veri e propri, della Mitologia o della Commedia dell’Arte, rappresenta la scansione delle ore del giorno, ma anche folgorazioni visive che scaturiscono da una rapida occhiata gettata intorno e poi subito indirizzata altrove e soprattutto dentro di sé. La materia pittorica sembra spinta sul quadro da una sorta di folata di vento metaforico che solleva da terra le componenti del colore e del segno e le deposita, talvolta delicatamente talaltra bruscamente, sulla superficie del quadro, così che sembra che quei colori siano un prelievo dalla realtà circostante della Natura direttamente affluiti sul dipinto. Il tema del turbine che trascina la massa cromatica nel cielo della pittura passa da un quadro all’altro e vanno visti effettivamente tutti insieme perché costituiscono, così riuniti, una vera e propria rassegna e il visitatore coglie facilmente gli echi interni, innumerevoli e ben riconoscibili. C’è, in questo modo di pensare la pittura, una connessione profonda ma poi quasi impercettibile tra quello che l’autrice ha sperimentato e continuamente sperimenta nella sua esperienza di persona attiva nel campo del diritto e della legge e quello che fa come persona attiva nella dimensione estetica. E tale dimensione è, per l’appunto, quella del “giusto” e dell’“appropriato”. In veste di giurista la Pinotti si interroga ripetutamente sugli elementi costitutivi del Diritto, scandagliando quel sottile crinale in cui il buon senso diventa norma, la semplicità della riflessione personale diventa dottrina, l’innata ansia di giustizia dell’essere umano diventa sistematica e scientifica ricerca di una logica che ci faccia capire dove risiede l’attitudine all’individuazione della verità.
L’arte della Pinotti è, per così dire, ispirata a un metodo analogo. La pittura è scaturita dalla necessità di orientare il suo animo su una rappresentazione necessaria di idee e di sentimenti, altrimenti inattingibili. E queste idee emotive sono chiarimenti che l’artista fa a se stessa. Dipinge per vedere più chiaro in sé e nelle cose del mondo. Poi, a mano a mano, la pittura si è resa autonoma, all’interno dell’universo interiore dell’artista rispetto ai presupposti concettuali da cui era nata, e l’artista ha visto i suoi stessi quadri come percorso, come veicolo di conoscenza e di bellezza. Ha così riconosciuto se stessa e ha compiuto l’atto più tipico, forse, di chi prende piena cognizione di sé: dialogare con l’altro avendo adesso migliore cognizione delle proprie intenzioni. Ne scaturisce una mostra che rende evidente la qualità molto fine e sensibile di questo modo di condurre la superficie pittorica e porta un contributo di chiarificazione aperto a chiunque si accosti al suo lavoro con attenzione e interesse concreto. La bontà delle opere arriva così a noi in modo limpido ed è lecito affermare che una autentica pittrice entra adesso nell’agone artistico con piena consapevolezza e qualità.

Dal testo introduttivo di Claudio Strinati

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