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Gianni Testa. Antologica
A cura di: Strinati Claudio
Formato: 24 X 28 cm
Legatura: Filorefe
Pagine: 114
Anno edizione: 2014
ISBN: 9788849229134
EAN: 8849229135
UB. INT. : T446B V13d
Contenuto
Catalogo della mostra presso il Complesso del Vittoriano di Roma dall’11 settembre al 12 ottobre 2014
Catalogo generale delle opere dell’artista Gianni Testa
“Gianni Testa ha una carriera ampia e multiforme ma la sua figura di pittore appare oggi chiara, nitida e personalissima esprimendo una coerenza e una continuità di pensiero che fanno di lui un sensibile e appassionato testimone della nostra epoca.
In apparenza, però, i temi, gli argomenti, i nuclei figurativi formulati dal maestro si direbbero remoti dagli eventi e dalle esigenze culturali e spirituali dell’epoca in cui ci troviamo a vivere.
Testa è, piuttosto. un cultore della Divina Commedia, è coinvolto con la grande poesia di un passato glorioso, attinge le sue immagini dalla sfera del Mito (come nelle sue predilette quasi oniriche visioni dei cavalli), dalla osservazione delle cose naturali e dalla memoria della pittura antica. E non è fuor di luogo mettere in evidenza tali aspetti per avvicinarsi con consapevolezza all’arte di un pittore così complesso. Testa, infatti, si è formato, dopo un iniziale interesse per l’architetttura, come restauratore sotto la guida di grandi esperti tra cui va ricordata su tutti Paola Della Pergola, una delle più nobili e amate rappresentanti di una cultura storico-artistica che oggi forse non è riconosciuta come meriterebbe. Testa fu introdotto allo studio della conservazione del patrimonio culturale del nostro glorioso passato nel modo migliore, da coloro cioè che, come Paola Della Pergola esercitavano negli anni cinquanta del secolo scorso, un mestiere, quello del conservatore e dello storico, basato tutto sulla più autentica e generosa passione verso l’arte e i valori in essa contenuti. Ci credevano veramente, quegli uomini e quelle donne nati nei primi anni del Novecento e spingevano le giovani generazioni in quella direzione.
Testa vi si incamminò con altrettanta dedizione e entusiasmo, quella dedizione e quell’entusiasmo che lo accompagnano ancora adesso, nella sua piena maturità. Apprese bene le tecniche pittoriche antiche e per molti anni fu soltanto restauratore.
Ma poi quelle cognizioni le ha riversate tutte nella sua attività creativa che, però, non è mai stata improntata all’imitazione dell’Antico ma al rispetto e qui risiede il punto fondamentale dell’essenza della sua arte e del suo rapporto con la contemporaneità.
Testa, in effetti, educato sull’Antico e su un culto quasi sacrale dell’Arte, ha basato tutto il suo lavoro sull’insegnamento fondamentale che si può ricevere dalla conoscenza del passato artistico del nostro Paese. E tale insegnamento risiede proprio nel fatto che l’artista che più e meglio di ogni altro sa vivere il suo tempo è sovente quello che non ne parla quasi mai direttamente ma trae dal proprio tempo l’alimento autentico del suo fervore, della sua voglia di fare indirizzandola a rispondere alle esigenze che l’artista avverte fiorire intorno a sé e che la maggioranza delle persone sue contemporanee avverte per lo più oscuramente senza riuscire a individuarne il senso profondo. Quello è il compito dell’artista che considera la sua attività come quella di una fiamma che riscalda gli animi, rischiara le menti e, attraverso di sé, desta curiosità, sgomento, ammirazione, gioia, timore e rispetto.
E l’arte di Gianni Testa è, effettivamente, una sorta di metaforica fiamma che invade lo spazio della pittura e forgia tutte le cose in maniera sintetica e unitaria, conferendo a tutto ciò che rappresenta lo stesso afflato e la stessa energia.
Dante, a questo punto, è a tutti gli effetti un nostro contemporaneo perché il maestro ne rivive i momenti fatali della Commedia in un’ottica di appassionato e struggente amore verso la materia pittorica che si fa forma mantenendo però una sorta di libertà e tensione interna, per cui le immagini prendono corpo nel magma del turbinio dei colori che restano depositati sulla tela come se si stessero formando in quel momento.
È questo un procedimento antico. Già Tiziano Vecellio, nelle sue ultime opere, lavorava in modo simile: partiva dalla massa cromatica che stendeva sulla tela in modo informale e poi ricavava le figure circoscrivendo quella massa apparentemente caotica e scoprendone l’intriseca vocazione a rappresentare.
Faceva, in veste di pittore, quello che Michelangelo Buonarroti faceva in veste di scultore: tirava fuori la forma da una materia informe, la massa cromatica nel caso del pittore, il blocco di marmo nel caso dello scultore. Testa, peraltro, ha in sé una vasta esperienza di scultore e non c’è dubbio che questa sua doppia natura artistica renda la sua pittura singolarmente connessa con l’attività dello scultore. In certi casi la contemporaneità urge talmente alla fantasia dell’artista che si manifesta esplicitamente, come nel caso del notevolissimo quadro dell’Undici settembre o nel Ritratto, invero cospicuo, di S. Giovanni Paolo II appoggiato al pastorale, stanco e chino che guarda verso di noi da una ancestrale distanza. Qui veramente l’impatto della materia cromatica che si trasforma in immagine nettamente riconoscibile si incide nella memoria con forza estrema e rifulge all’occhio dell’osservatore. Ma non rifulge meno in quei quadri, completamente remoti dalla contemporaneità in quanto a contenuti, in cui la materia cromatica sembra come scagliata dentro il quadro (è il caso di alcuni dipinti ispirati al Purgatorio di Dante) dove sembra che una specie di astronave di luce o di meteorite infuocato precipitino dentro il dipinto innervandolo di energia e, letteralmente, di quel tumulto emotivo che guida la mano del maestro.
Talvolta Testa sbozza l’immagine con grandi campi di colore per cui sembra di vedere alternarsi sulla tela una tendenza a sfumare e una a definire, contigue e come inseparabili.
Talvolta questi “eserciti” cromatici si concretizzano con una sorprendente adesione a un forte naturalismo che ci fa vedere grappoli d’uva, metamorfosi di figurazioni ben note come quelle dei cavalli, evocazioni di momenti arcaici, in cui il colore appare come un vento cromatico che spinge delle foglie, che sono le pennellate stesse, a coagularsi in forma di figure, mentre altre volte si nota un sorprendente contrasto tra una potente accensione della cromia e un altrettanto esplicito incupimento della materia pittorica fino a arrivare a certe visioni urbane in cui lo sguardo si rischiara e la tensione emotiva espressa dal maestro pare placarsi nel nome di momenti meditativi e sereni.
Certo è che il retaggio ricevuto da Testa in gioventù da figure centrali nella storia dell’arte italiana come Carlo Levi o Pericle Fazzini, non si è mai spento o attutito nella sua fervida creatività. Da quei grandi maestri Testa non ha tratto tanto elementi stilistici quanto l’insegnamento, analogo a quello impartitogli da una personalità come la Della Pergola, a concepire il tema artistico come uno slancio perpetuo, una sorta di animazione universale delle cose, proprio in senso dantesco, che fa del nostro pittore un personaggio di rilevante interesse per i nostri pensieri e per le nostre attuali meditazioni.”
Dal testo introduttivo di Claudio Strinati
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