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La casa del popolo in via Capo d’Africa a Roma

Storia, sviluppo urbano e vicende

Formato: 17 x 24 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 128

Anno edizione: 2003

ISBN: 9788849203912

EAN: 8849203918

UB. INT. : T460B T514A V02a V25h

Contenuto

Durante la prima giunta del Comune di Roma con maggioranza di sinistra, guidata nel 1977 da Carlo Giulio Argan, l’allora Rettore della Sapienza Antonio Ruberti e Vittoria Ghio Calzolai, che dirigeva l’Ufficio Speciale del Centro Storico, firmarono una convenzione al fine di lavorare insieme ad argomenti di comune interesse. All’Istituto di Architettura ed Urbanistica della Facoltà di Ingegneria, del quale era Direttore Enrico Mandolesi, furono affidate due ricerche su edifici presenti nell’area di S. Pietro in Vincoli: l’Acquario Romano, in Piazza Manfredo Fanti, e la ex Casa del Popolo, in via Capo d’Africa. Entrambi i lavori erano propedeutici ad un recupero degli immobili. Il lavoro sull’Acquario Romano si concluse con una pubblicazione a cura di V. De Feo e S. Stucchi (L’acquario Romano, Officina, Roma 1983), e il successivo, reale recupero come sede della Casa dell’Architettura. Lo studio sulla Casa del Popolo rimase un po’ più indietro perché era un edificio meno interessante da un punto di vista scientifico ma, per altro verso, quello di maggior attenzione politica per cui, sul suo recupero, furono promosse tavole rotonde, riunioni, incontri con il Comitato di Quartiere, con varie associazioni, altri comitati ecc. Quando i materiali raccolti sembrarono sufficienti per farne una pubblicazione il Comune si accorse di non essere proprietario dell’immobile, sul quale, peraltro, era intervenuto con lavori di consolidamento e, ripetutamente, di derattizzazione. I soldi per la pubblicazione svanirono. In verità, gli esiti della ricerca furono offerti anche ai compagni socialisti che, all’epoca, governavano la Regione, essendo questa divenuta la legittima proprietaria dell’edificio; ma si dissero non interessati al tema. L’immobile è ancora là: 14.000 mc di proprietà pubblica in pieno centro storico abbandonati ai gatti e alle piante di fico. Alla fine, con mezzi propri, il gruppo di lavoro di allora, integrato da qualche giovane, ha deciso di raccogliere il materiale in una pubblicazione. Come progettisti, ci auguriamo che il lavoro possa costituire la base per un concorso di idee finalizzato al recupero dell’edificio; come studiosi, pensiamo che possa essere occasione per riattivare la memoria su un fenomeno spontaneo poco ricordato anche dai ‘compagni’, esprimendo nel contempo la testimonianza dell’impegno e delle speranze di una componente sociale ormai in dissoluzione: la classe operaia.

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