Fuori commercio
Land of prayer Alias
12 settembre – 25 ottobre 2013
Autori: D'Alonzo Gianfranco
Formato:
Legatura:
Pagine:
Anno edizione: 2013
ISBN:
EAN: GE6019
UB. INT. :
Contenuto
Dopo aver attraversato il flusso dinamico della rete con Land of Prayer (dicembre 2011 – febbraio 2013) D’Alonzo approda ora con Land of Prayer Alias nello spazio fisico di una galleria d’arte.
L’attuale mostra può considerarsi dunque la prima metamorfosi di un’opera che si snoda su tre piattaforme: la rete, la galleria e un terzo progetto che prevede entro il prossimo anno la pubblicazione di un volume.
La prima realizzazione di questo trittico ideale, Land of Prayer, è sullo schermo di un computer, terra di preghiera in uno spazio di rete, luogo di raccoglimento in un ambiente digitale.
Navigando in rete – scrive A. Abruzzese – tra link che occhieggiano ai margini e dentro ogni pagina, accade che di continuo si perda la retta via – il fine e il mezzo – e ci si imbatta in terre e relitti di terre. E l’incontro sul web con questa terra di preghiera concede l’accesso a un luogo “altro”, che raramente frequentiamo nel nostro vivere quotidiano dove un incessante muoversi e la tendenza all’autoreferenzialità lasciano poco spazio a un vero ascolto, rendendo molto difficile percepire ciò che siamo.
Con Land of Prayer Alias D’Alonzo rinnova in un luogo deputato del sistema dell’arte il suo invito a entrare in una dimensione diversa.
L’invito è a fermarsi, a stare, a dimorare nella consapevolezza.
L’opera è una meditazione che si snoda lungo le sale bianche dello Studio d’arte contemporanea Pino Casagrande, dove le note di un cembalo che si sviluppano in loop guidano verso l’esperienza dell’immersione in se stessi. Un percorso che prevede di uscire dal rumore incessante della mente discorsiva, per poter approdare a una percezione più unitaria e dunque a una connessione profonda, a sentirsi terra di preghiera, preghiera intesa come pura contemplazione.
Land of Prayer Alias è un richiamo alla coltivazione di un naturale spirito di accoglienza, di intimità, uno spazio interiore che si nutre di una fede intesa non come credenza o riferimento a dogmi.
Il termine Saddha, tradotto in genere dalla lingua Pali con fede-fiducia è forse il più adatto per esprimere questo senso di apertura che conduce alla calma di una mente silenziosa, capace di presenza e di ascolto.
Saddha – afferma S. Salzberg – è un verbo che letteralmente significa porre il cuore su: “la fede non è uno stato particolare che abbiamo o non abbiamo ma qualcosa che facciamo… Saddha è la volontà di fare il passo successivo, di vedere l’ignoto come un’avventura, di intraprendere un viaggio”.
Nel Dhammapada la fede viene infatti definita come slancio verso l’indicibile.
La presenza mentale che guida in questo viaggio interiore è un tipo di attenzione intensa, senza movente, gratuita. Una presenza che conduce oltre l’involucro dei concetti e dell’identità, delle convenzioni e dei condizionamenti del linguaggio, fino a fare il vuoto di ogni presunto sapere.
La preghiera, meditazione – scrive C. Pensa – è una forma di svuotamento, ossia di graduale abbandono di tutto quanto in noi fa da schermo all’esperienza dell’unità… Dove c’è svuotamento profondo, e soltanto in questo caso, può darsi reale compassione.
Sulla parete di fondo della galleria un proiettore fa rivivere le sequenze che in Land of Prayer animavano la superficie pulsante dello schermo del computer.
Sembrano quinte di un teatro i due diaframmi neri che lentamente si aprono per lasciare spazio a un gioco inesauribile di forme: costellazioni, pulviscolo, macerie, continuo occhieggiare di bianco e nero in un incessante alternarsi di buio e lampi di luce.
Avvolti nella melodia perdiamo il senso del tempo, inghiottiti nell’abisso dell’oscurità e risvegliati da improvvisi bagliori che ci proiettano di nuovo in superficie.
Sulla parete opposta D’Alonzo espone un trittico, un dipinto ad olio su finta pelle, dove lo stesso misterioso intreccio di forme in movimento tra l’oscurità e la luce del video si distende su una superficie che sembra offrire un momentaneo sollievo alla nostra ansia di fissare e interpretare. Ma il groviglio di linee rosse tracciate dal pennello sembra estendersi oltre i limiti della cornice, riproponendo un senso di indeterminatezza e di provvisorietà.
Le due opere ai lati opposti della stanza non creano contrapposizione. Non c’è da una parte il piano pittorico che – come indica R.
Krauss – è stato per molti secoli “la pietra angolare della specificità”, e dall’altra la proiezione nelle sale di una galleria di un’opera che si è sviluppata in uno spazio di rete. L’intero processo creativo si svolge nell’ambito di un’ esperienza inclusiva, in un continuo mettere in relazione.
Sul pavimento, al centro della stanza, D’Alonzo ha collocato uno “zerbino” intarsiato che va da parete a parete. L’attraversamento di questo “tappeto”, soglia al contempo fisica e mentale, sottolinea un’intenzione di apertura verso uno spazio di silenzio interiore profondo.
L’artista si rivolge a un pubblico non di spettatori ma di “utenti”, fruitori, di invitati ai quali chiede di abitare le sue opere. A partire dalla performance Jo em confesso, del 2003, proseguendo con Land of Prayer ( 2011-2013) negli ambienti comunicativi del web, fino all’attuale Land of Prayer Alias nello spazio fisico di una galleria d’arte, D’Alonzo ha orientato i suoi progetti verso pratiche partecipative, attivando processi di condivisione. Nel suo “spostamento” da una piattaforma all’altra tesse fili diversi attraversando confini sempre più labili di ambienti dove non esiste più una vera distinzione tra il fisico e il virtuale.
Un’altra sala della galleria ospita un’opera a parete realizzata con gessetti e intagli su tela dove si condensano linguaggi e dinamiche delle altre piattaforme.
L’autore ha impresso sulla tela di un lenzuolo alcune parole chiave estrapolate dai testi che costituivano il palinsesto digitale di scritture in Land of Prayer.
Nel sito la fruizione dei testi è resa volutamente non semplice. Interventi grafici, lettere troppo grandi, tutto contribuisce a renderli una scrittura più visuale che logica. Adesso l’artista interviene su alcune parole con tecniche di cancellazione e stratificazione, finché sulla superficie saturata di segni rimangono soltanto tracce di scrittura.
Tutto il percorso di Land of Prayer Alias è intessuto di tracce, impronte silenziose, orme di una presenza-assenza.
L’artista sembra rispondere all’esigenza di intervenire sulla scrittura come per resistere a una forma di chiusura, per andare oltre qualcosa che impedisce un incontro diretto con l’essenza delle cose stesse.
L’opera evoca il graffito, la tavoletta di cera, la pietra di granito incisa e consumata dal tempo. La luminescenza ottenuta con l’uso di gessetti e abrasioni fa pensare alla superficie luminosa dello schermo.
Trascrizione di frammenti e rimozione, perdita e ricostruzione. Il mondo delle parole, il mondo delle cose, si polverizza sulla tela e nelle sequenze dell’animazione digitale, per illuminarsi nell’ampio respiro di un territorio di preghiera che attraversa le frontiere dell’appartenenza e dell’identità. Un territorio che è convergenza tra piano pittorico, spazio di proiezione e schermo del computer, oltre i confini rigidi della specificità, in una continua reinvenzione del medium.
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