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LUIGI CAFLISCH – Acqueforti e acquerelli

Formato:

Legatura: Filorefe

Pagine: 64

Anno edizione: 2026

ISBN: 9788849253887

EAN: 9788849253887

UB. INT. :

Contenuto

Non scrivo in versi
il mio modo di fare poesia
sono l e incisioni
e gli acquerelli
L.C.

 

Entrai nell’aula di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Roma, l’attraversai cercando l’amico da poco conosciuto e del quale volevo conoscere il lavoro.
Non c’era, mi indicarono il suo cavalletto, il suo spazio creativo con i numerosi lavori su cartoni affastellati a lato. Li guardai, entrai nella traiettoria del suo sguardo, erano immagini di porzioni di Lungotevere, di Passeggiata di Ripetta, filari di grandi platani e auto parcheggiate trasformate in macchinine di bambini. Le pennellate rapide e apparentemente disordinate, guidate da una sensibilità di rabdomante, attraversavano tutta la superficie, e su quella superficie il colore emergeva nella sua purezza, nella sua luminosità, nella sua sapienza.
Da allora, le curve rumorose, ombreggiate, che irretiscono il fiume della grande città, sono come Luigi me le rivelò in quelle pitture, in quei frammenti ritagliati nel rettangolo delle grandi finestre delle aule dell’Accademia.
Allora ci frequentavamo e parlavamo di arte, ma stavamo anche in silenzio e guardavamo le nostre reciproche prove, i nostri tentativi come fossero creature da portare in salvo da un mondo ostile e incomprensibile.
Lo sguardo di Luigi mi è sembrato sempre comprensivo, attento a rilevare la verità dei nostri sforzi, le piccole cose che andavano prendendo forma in un tratteggio, in macchie di chiaro scuri, niente gli appariva superficiale, trascurabile.
Abbiamo guardato Guido Reni, Raffaello, le incisioni di Alberto Ziveri o di Luigi Bartolini, le profondità cromatiche di Bonnard, le figure incerte e sospese di Chagall, le invenzioni di Arturo Martini, tanti artisti che l’attenta conoscenza di Luigi elevava ad eroi in un tempo in cui la frenesia di novità linguistiche, di postmodernismi aveva già relegati ad essere coperti da un velo di polvere.
Sebbene le nostre vite abbiano preso strade diverse, abbiamo continuato a sentirci con una certa continuità. L’immagine del ragazzo che abitava nella casa di via Tevere con la sua prospettiva ombrosa, è impressa nell’autoritratto con cui vinse un premio all’Accademia di San Luca, credo a fine anni ’80, nel quale compare nella sua magrezza adolescenziale e con il suo sguardo vivacemente infantile misto ad una lieve malinconia.
La sua attività pittorica ha attraversato coerentemente questi decenni senza perdere niente della sua fede incrollabile sulla necessità esistenziale del fare pittura, esprimendo, in ogni stagione, il punto di vista particolare che il luogo in cui ha stabilito il suo laboratorio e il suo orizzonte sentimentale gli hanno porto, da via Tevere a Rione Monti, da Catania a Anticoli.
I soggetti dei suoi quadri sono paesaggi, non paesaggi qualsiasi, sono quelli contemplati con affetto: la facciata di Santa Maria Maggiore vista dallo studio del rione Monti, Sant’Agata a Catania, scorci di Villa Borghese o di Lungotevere e, recentemente, scorci di Bracciano. Poi sono apparsi gli angeli, ma erano comunque degli omaggi a Bernini, in un certo senso anch’essi paesaggi. Le tre grazie poi, non erano forse il pretesto per ritrarre in forma molteplice la
persona amata? I riferimenti classici sono il segno di una formazione colta, rispettosa della tradizione artistica italiana, occidentale, le immagini mitologiche sono protagoniste del teatro nel quale mettere in scena il dramma del pittore che si ostina a stare davanti alla tela che si frappone tra sé e il soggetto.
Ma il protagonista resta sempre il colore che veste ogni soggetto con la stessa stoffa, apparentemente ruvida, eppure così leggera, seta forse, con la stessa fattura, imbastita con la fretta di chi ha il presentimento che i dettagli distolgano, allontanino l’osservatore dall’unica realtà a cui affidarsi, il presente sempre fuggevole, evanescente.
Seguendo questo lungo itinerario si può riconoscere la sua geografia poetica che in questi ultimi anni ha trovato un suo felice approdo, tra Roma e Bracciano.
Se si vuol apprezzare pienamente la sua pittura bisogna andare nella casa dove ora vive con la sua famiglia, nella sua felice luce in cui le sue pitture trovano la giusta collocazione. Lì i lavori di diverse stagioni dialogano sotto la stessa atmosfera, valorizzati dalla quotidianità domestica, dalle consuetudini, dagli affetti come fossero l’ultimo ingrediente indispensabile a dare senso a tutto il suo lavoro.

13 aprile 2025, Domenica delle Palme, San Vendemiano, TV
Valerio Falcone

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