Fuori commercio

Lunga giornata verso la notte

Formato: 15 x 21 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 112

Anno edizione: 2007

ISBN: 9788849213331

EAN: 8849213336

UB. INT. : T306E V25d

Contenuto

The Long Day’s Journey into Night, scritta tra il 1939 e il 1941, era ancora inedita alla morte nel 1953 di O’Neill, il quale lasciò disposizione di non renderla pubblica per altri venticinque anni. La sua terza moglie Carlotta Monterey, alla quale il lavoro – “scritto con profonda pietà e comprensione e perdono per tutti e quattro i tormentati Tyrone” – è dedicato, ne autorizzò invece la messinscena nel 1956, messinscena che fruttò all’autore il suo quarto premio Pulitzer, primo della storia ad essere tributato postumo. Il premio Nobel gli era stato conferito nel 1936.
Malgrado la pietà, la comprensione e il perdono, O’Neill era troppo consapevole di avere frugato in piaghe ancora aperte nella propria esistenza per poter condividere con degli estranei questa confessione, ancorché messa in bocca a dei personaggi diversi da lui – privilegio del drammaturgo è di potersi confessare attraverso un altro.

Gli interlocutori e i loro conflitti sono infatti ricalcati sulla singolare famiglia del futuro drammaturgo, il cui padre fu ai suoi tempi un celebre attore girovago (morendo, O’Neill disse amaramente, “sono nato in una dannata camera d’albergo [di Broadway], e ora muoio in un’altra dannata camera d’albergo!”). La fortuna ma anche alla lunga la rovina di James O’Neill fu l’adattamento da lui scritto, diretto e interpretato, del Conte di Monte Cristo di Dumas, adattamento il cui successo popolare egli non si stancò di replicare per anni e anni, fino a diventare incapace di rinnovarsi.

Il minore dei suoi figli maschi, il nostro Eugene, crebbe sballottato in tournées e sale di provincia cambiando molte scuole, e benché osservando tutte le sere il padre imparasse parecchio quanto az tecnica di teatro, quando crebbe finì per disprezzare la mediocrità di quel testo e a considerare prostituzione la passività con cui James O’Neill si era adagiato nella lucrosa routine. Non per niente quando decise di imboccare la carriera del drammaturgo voltò decisamente le spalle al palcoscenico commerciale e scelse a suoi numi tutelari autori aggressivi e provocatori come Strindberg, presenza sotterranea e molto forte anche nel Lungo viaggio, che da questo punto di vista è anche un omaggio all’emancipazione dell’autore. La commedia è ambientata nell’estate del 1912, epoca nella quale questa attività del giovane Edmund nel quale Eugene si identifica (non a caso è il nome del figlio bastardo e ribelle di Gloucester nel Re Lear!) è ancora di là da venire. Quell’anno Eugene, proprio come Edmund, era tornato in famiglia perché gravemente malato di tubercolosi. Nato nel 1888, a diciannove anni era stato costretto ad abbandonare l’Università di Princeton, a ventuno si era sposato per divorziare poco dopo, e poi era partito in cerca di fortuna in Sudamerica come marinaio. Debole, sconfitto, indeciso sul proprio futuro, preoccupato della propria salute, Eugene – Edmund aveva bisogno di calore e di aiuto, ma la piccola famiglia dissestata e priva di radici in cui rientrò non sembrò in grado di dargliene, perché tutti i suoi membri erano in crisi. Il padre, sempre più involuto nel proprio narcisismo alcolico, non dissimulava più un’avarizia addirittura patologica; la madre, trascurata e delusa, si rifugiava nella droga di cui era diventata vittima durante una malattia; il fratello maggiore, attore controvoglia, giocatore, alcolizzato e puttaniere, cronicamente indebitato, era un fallito prima ancora di avere veramente affrontato l’esistenza.
Rievocati a grande distanza di tempo, sia pure con pietà, comprensione e perdono, i quattro fantasmi del passato si confrontano dunque in una serie di scambi che occupano una lunga giornata e la prima parte di una notte di agosto. Soffocante e apparentemente interminabile nella sua versione integrale, che è stata accusata di ripetitività e di scarsa suspense ma che l’autore come si è visto non aveva concepito per la rappresentazione, la commedia ha tuttavia sempre esercitato un forte fascino sul pubblico grazie ai suoi squarci di eloquenza e alla sincerità delle sue passioni, imponendosi sin dal debutto come una delle più grandi pièces americane del suo secolo, se non addirittura come “la” più grande. Gli attori che vi si sono cimentati sono il Gotha del teatro di lingua inglese, da Fredrich March e Florence Eldridge a Jack Lemmon e Bethel Leslie, a Anthony Quayle e Gwen Ffrangçon – Davies, a Laurence Olivier e Constance Cummings, a Timothy West e Prunella Scales, a Charles Dance e Jessica Lange. Tra i memorabili in Italia, naturalmente, Renzo Ricci e Eva Magni, e Gabriele Ferzetti e Anna Proclemer.

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