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Obiettivo Vietnam – Vietnam lens
Festival della cultura vietnamita - Festival of Vietnamese culture
A cura di: Bucarelli Angelo
Facing English text
Formato: 22 x 24 cm
Legatura: Filorefe
Pagine: 64
Anno edizione: 2007
ISBN: 9788849212785
EAN: 884921278X
UB. INT. : T437A V13i V42d
Contenuto
L’obiettivo è diventato un filtro fondamentale per dare corpo alla creatività dell’arte. In tutto il mondo. L’era del digitale avanza inesorabile, pittura, scultura, disegno soffrono il confronto. In questa evoluzione la fotografia trova il suo spazio e si fa largo. Lo sbattere di palpebra meccanico blocca un momento intuitivo anche in una costruzione visiva e concettuale complessa, a volte perfino artificiale. Poi spesso un software elabora irrealtà ancora più complesse alla ricerca di un’unicità ambigua nel fotogramma. Nel dibattere sui valori reali di opere con media tecnologici il mercato spinge e anche con successo. In questo panorama ci sembra interessante perlustrare diverse culture di Paesi che inseguono miti non necessariamente appartenenti a loro stessi. Tra questi il Vietnam, di cui la scorsa stagione proprio per la Provincia di Roma, che con l’attenzione a linguaggi diversi si conferma sensibile ai processi di integrazione culturale che il nomadismo della globalizzazione porta a priorità mai raggiunte, ha presentato una sua produzione artistica di pittura e arte legata a percorsi più tradizionali, anche se con slanci di ricerca espressiva davvero notevoli. Un Paese dalla forte identità da sempre in lotta per difenderla strenuamente, anche nel confronto – e non soltanto bellico – con altre nazioni di molto più grandi e più potenti. Oggi pacificato, e con uno dei tassi di sviluppo più strabilianti del mondo, cerca un adeguamento proprio con quei Paesi che gli sono stati aggressori. Per percorrere la difficile via, sperimenta espressioni che siano comprensibili proprio a quelle civiltà, e che magari non abbiano in esse stratificato una tradizione e storia così consolidata come la fotografia. Nel comporre questa nota sulla fotografia vietnamita, e quattro autori non sono certo sufficienti per mostrare la grande produzione che oggi si realizza nella regione, noi curatori abbiamo cercato di nuovo di privilegiare la località degli autori. Ci è di nuovo sembrato importante selezionare chi produce la propria arte nel suo luogo d’origine. Questo non significa che nessuno di loro abbia avuto modo di forti scambi con il resto del mondo, anzi, ma che la propria cultura sia istintivamente permeante la creatività e la conoscenza dell’autore e che abbia minori tentazioni all’imitazione ammirativa di espressioni che potrebbero non appartenergli. Abbiamo selezionato molte proposte. Direi fino a rischiare di perdere il senso dell’immagine e della forza che l’arte deve avere. Ritengo però che la scelta finale abbia un senso comune con tutto il lavoro che abbiamo visto. Dunque non necessariamente vince per qualità rispetto ai tanti altri, ma certamente riesce a cogliere quegli elementi portanti che effettivamente caratterizzano la cultura fotografica e di immagine vietnamita. Il nostro “obiettivo” era selezionare una terna, come numero rappresentativo, poi durante la visione abbiamo incontrato Duong Minh Long e le sue elaborazioni al computer che esaltano in un racconto istantaneamente visivo il Vietnam e la città di Hoi An, sito salvaguardato dall’Unesco. Tutto sembra essere immutabile nel tempo, dall’umidità del clima, alla natura, alla storia, alla caparbietà della sua gente, che attraversa in bicicletta, ancora una volta, strade che presto non saranno più le stesse. È la stessa città eppure sembra un’altra e non solo per l’artificio di Duong, ma per il vero punto di interesse di ciascuno degli autori. Così abbiamo aggiunto un quarto alla terna, Hoang Xuan Lam che riesce a far lavorare il digitale come una pittura. L’acqua che si muove intorno alle barche e non le barche che fluttuano sull’acqua è una magnetica magia di grande abilità, una composizione quasi perfetta. Il fiume diventa specchio e sottolineatura per la vita urbana e chiassosa della città che si è estraniata alla sensibilità dell’altro autore. Qui c’è memoria del reportage, non più di guerra, ma di pace. I motorini si accatastano vicino alle barche lunghe, ma con una dinamica imprevista. Long Than è un grande maestro e come i grandi maestri vietnamiti lavorano lacca con abilità della tradizione, così lui tratta la fotografia e i soggetti che coglie nelle sue immagini. Non potevamo non accogliere il suo lavoro nella terna. Long Than rappresenta così un’ampia fascia di fotografi che credono alla forza della trasfigurazione del bianco e nero dalla pasta fotografica della carta e dei sali d’argento. Ferma i visi, gli occhi, le espressioni, la liricità di un lavoro, come un Salgado orientale, accarezza paesaggi che ancora parlano della rassegnazione fiera di chi li attraversa. L’immagine è compiuta, non dà spazio a interventi esterni e personali di chi la guarda. È un fermo macchina dello scorrere della vita alla ricerca di un’armonia formale che la vita stessa non ha. In questo la pastosità dei suoi bianchi e neri sono prove di abilità.
Ben diverso è il moderno e quasi sguaiato Hai Dong. Giovane di tendenza proiettato in un mondo urbano che vede la natura come scenografia di una vita proiettata verso il futuro, veloce e positiva come il tasso di sviluppo del suo Paese. Certamente imita percorsi già battuti da suoi predecessori di Paesi come gli Stati Uniti, che già sono oltre, ma non sembra sufficiente per non dare spazio ad una sua divertente e genuina freschezza. Così i ragazzi pop che reclamizzano come stickers una moto giapponese, sono ragazzi del mondo di oggi, totalmente globalizzati. Così i modelli di moda si muovono in mondi astratti, addirittura californiani, ma conservano i gesti della propria tradizione, costruiti nel tempo. E la tradizione popolare che fa riferimento ai momenti cruciali della vita, come il matrimonio, si riattualizza in un modo del tutto originale interpretando i sogni o i possibili desideri della giovane e moderna coppia, in un fotoromanzo di ambientazione, con un respiro creativo davvero interessante e carico di originalità.
Sono dunque certo che la composizione della mostra possa essere nella sua ristretta dimensione un primo spiraglio verso la fotografia vietnamita attraverso una sorta di buco della chiave che stimoli la curiosità e l’interesse del pubblico romano e non solo per incursioni più determinate in quel mondo. Dunque buona vista.
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