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Simbologie politiche del femminile

Formato: 17 x 24 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 80

Anno edizione: 2006

ISBN: 9788849211559

EAN: 8849211554

UB. INT. : T802E V14g

Contenuto

Nella storia politica europea, la funzione morale della donna riveste un prestigio che, rispetto alle sue traduzioni istituzionali, sembra seguire una traiettoria asimmetrica.
Dalla fine del settecento la funzione pedagogica delle rappresentazioni del femminile diventa un perno di ciò che oggi chiamiamo comunicazione politica. Per tutto il XIX, fino alla prima metà del XX secolo, dignità morale ed esclusione politica vengono conciliate in base al tacito principio per cui «gli uomini fanno le leggi, le donne i costumi». Dietro le quinte dei grandi avvenimenti storici ci sono le protagoniste di una storia morale, il cui carattere distintivo è essenzialmente l’anonimato di eroine per definizione “minori”.
Già ai suoi esordi rivoluzionari, la politica moderna mostra il taglio ambiguo del prestigio morale delle donne. Femminili sono le parole d’ordine della Rivoluzione francese e la loro rappresentazione iconografica, ma platealmente menzognera nella sua universalità è, ad esempio, la Carta dei diritti dell’Uomo che è imperniata sul protagonismo di un solo soggetto storico. L’esclusione pregiudiziale delle donne dal potere politico è autorizzata proprio dalla connotazione sessuata dello Stato che apertamente, in tempi e situazioni diverse, manifesta il suo “carattere virile”. Femminili sono le metafore e le allegorie che punteggiano il linguaggio simbolico del nascente stato-nazione europeo. Ma saldamente maschili sono le pratiche dei governi e dei parlamenti in cui si esprime la partecipazione politica reale. Da una sommaria ricostruzione delle vicende europee degli ultimi due secoli, balza agli occhi il divario tra la pletora, talora affascinante, delle immagini femminili impiegate nella propaganda e nella comunicazione politica, e la fragilità, fino all’inconsistenza,della presenza reale delle donne nelle istituzioni decisive.
Per quanto riguarda l’idea dell’Italia e la sua evoluzione iconografica, è tutta mazziniana la fiducia negli influssi benefici apportati dalle “rideste donne italiane” alla vita politica nazionale. Ma l’apoteosi della “donna italiana”, icona della nazione e del suo destino, ricorre in altri passaggi-chiave: dal fascismo alla resistenza fino alla costituzione repubblicana.
Fra otto e novecento, la nascita di un’opinione pubblica femminile, favorita da un intenso associazionismo politico e culturale, diversifica i modelli di donna diffusi nell’immaginazione sociale. Anche nelle rappresentazioni si può osservare questo passaggio cruciale: dalla donna alle donne. L’efficacia di un modello femminile fino a quel momento senza varianti si frantuma di fronte alle specificazioni proposte dalle donne stesse. A sua volta, espandendosi negli spazi pubblici, l’enfasi posta sui valori etici femminili più classicamente “domestici”, si trasformaa. Prima in pace e poi in guerra, la nazione ricorre incessantemente alle peculiarità positive delle donne, ma ne differenzia le funzioni: madri innanzitutto, ma anche valenti sostitute dell’uomo sul “fronte interno” della produzione industriale, nonché crocerossine forgiate da un ferreo esercizio dell’assistenza.
Classici supporti di una secolare discriminazione, i «caratteri psicologici» della femminilità resistono a eventi cruciali e drammatici capovolgimenti. Nella propaganda, le immagini femminili possono così cambiare di segno ed essere utilizzate da opposti schieramenti politici. Come accade alle “icone del regime fascista”, che operano una modernizzazione del femminile rintracciabile anche nella propaganda politica del secondo dopoguerra e nella costruzione della repubblica.
Qui osserviamo tuttavia il verificarsi di alcune trasformazioni. Al cambiamento della scena politica – è caduto il fascismo e le donne sono state ammesse all’elettorato politico attivo e passivo – corrisponde uno stemperarsi della forza simbolica del femminile. Così, nello stemma della repubblica, all’opulenza femminea della nazione italica si sostituisce un intreccio astratto di simboli anodini. Auspicata operosità industriale? Richiamo all’eredità dei liberi muratori? Anticipo di una vocazione ecologica di là da venire? Non sappiamo. Certo è che il cerchio dentato, la stella in apice e le fronde, producono un certo rimpianto per l’Italia turrita. Un sentimento che riguarda forse, più che la nostalgia, l’ineluttabile perdita di un’appartenenza. La neutralità astratta del nuovo simbolo nazionale, cancella, questo è vero, funzione morale del femminile. Ma – viene da chiedersi – a tale neutralità corrisponde poi un vero mutamento nella connotazione sessuata dello stato?

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