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Spazialismi italiani

Formato: 17 x 24 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 128

Anno edizione: 2005

ISBN: 9788849209181

EAN: 8849209185

UB. INT. : T314G V06d

Contenuto

Spazio Paesaggio Architettura, collana diretta da Renato Bocchi.

È seguendo l’ideale romantico della dissoluzione dell’uomo nella natura che si forma e consolida in una parte dell’ambiente disciplinare italiano l’interpretazione dell’architettura come “gusto del colore”. Nella trasposizione dell'”effetto di luce e di ombra”, elaborato dai pittori impressionisti, in “disposizione di superfici cromatiche”, una cultura artistico-critica che si vuole d’opposizione crea un’alternativa ai valori espressi della “forma plastica compiuta”, nella quale intravede l’espressione di un classico elevato a dispositivo retorico-celebrativo. Ad uno “spazio come profondità”, che riduce l’infinita varietà della natura alla ragione di uno schema geometrico, questa cultura contrappone uno “spazio come superficie”, momentaneo frammento di espressione dell’inesauribile ricchezza del mondo sensibile. Tale affermazione di appartenenza alla natura si radica nella decisione di sostenere un’interpretazione dell’architettura come “vestito” dell’uomo. Un passaggio che vuole essere una risposta all’individuazione di un’esigenza di ordine superiore: quella che nel mondo contemporaneo le forme della casa e della città, non siano più deducibili “da una categoria ideale del bello”, ma vadano “liberamente raggiunte in rapporto con l’attuale e concreto vivere e agire dell’uomo”. Costruire spazi, “spazieggiare” – nel senso di fornire riparo manifestando, come scrive Argan, il “carattere fenomenologico dello spazio per mezzo della ‘sensazione luminosa’” – diviene allora la risposta che gli autori sui quali questo studio si concentra forniscono alla domanda di come vada inteso l’edificare nel loro tempo. Lo spazio da loro proposto è perciò qualcosa di molteplice: spazio come “condizione di luminosità”, “spazio limitato da orizzonti”, “campo d’interrelazione”, “durata”, “continuità tra valori”. Sulla scorta di questa concezione spaziale tali autori sviluppano una lettura della città il cui denominatore comune è la rottura dell’oggetto come unità plastica, come edificio a sé stante, come composizione urbana unitaria. In una cultura urbana che pretende dall’edificio una corrispondenza totale all’uso, in una società che non ha più limiti precisi e prefissati, in un’epoca che non necessita di ornamenti e “decoro”, in una civiltà democratica che chiede di ridurre le esigenze del soggetto al bene della comunità, essi dichiarano che non è più possibile pensare d’intervenire ponendo “oggetti nello spazio”. Per costoro l’architettura deve cessare di essere una pratica autoreferenziale, tanto dal punto di vista estetico quanto dal punto di vista sociale, impegnandosi a costruire ogni intervento pensando alle conseguenze della sua realizzazione.

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