Fuori commercio
La fede di Costantino
un cammino che interroga nei dipinti di Georgios Oikonomoy
A cura di: Godart Louis
Facing English text
Formato: 30 x 30 cm
Legatura: Filorefe
Pagine: 164
Anno edizione: 2013
ISBN: 9788849226430
EAN: 8849226438
UB. INT. : T517A V13a V41f BRAMP28
Contenuto
Catalogo dell’omonima mostra:
La diffusione della Buona Novella
Accolta da un piccolo gruppo di discepoli a Gerusalemme la “Buona Novella” non sembra all’inizio colpire granché le popolazioni distratte dell’impero. Tuttavia grazie al miscuglio delle etnie e alla facilità di comunicazione dovuta alla pace romana, il messaggio evangelico si diffonde rapidamente tra i gruppi israeliti della “diaspora” come presso i “Gentili” di ogni origine sparsi per il Mediterraneo orientale. Presto sarà il fascino di Roma stessa a suggerire alla Chiesa nascente di scegliere la capitale dell’Impero come residenza del proprio Capo e luogo privilegiato d’irradiazione del messaggio cristiano.
Il Principe degli apostoli a Roma
La questione della venuta di Pietro a Roma è stata discussa con passione. Oggi la presenza del “principe degli apostoli” nella Città Eterna è un dato acquisito. Sin dalla fine del I secolo la tradizione che ricordava il soggiorno a il martirio di Pietro a Roma era diffusa. Papa Clemente scrivendo nel 95 ai Cristiani di Corinto menziona la morte di Pietro e Paolo a Roma. A Ierapolis (oggi Pamukkalé in Turchia) il vescovo Papias, che ha conosciuto alcuni discepoli diretti dei Dodici Apostoli, assicura intorno al 130 nelle sue “Spiegazioni delle parole del Signore” che Marco ha dato nel suo Vangelo la sintesi delle prediche fatte da Pietro a Roma.
Infine il testo più celebre è quello del sacerdote frigio Gaio che durante il pontificato di Papa Zefiro (198-217) e in particolare intorno al 200 si adoperò per respingere l’eresia di Proclo. Quest’ultimo per giustificare le sue pretese invocava il possesso da parte della sua chiesa dei resti dell’Apostolo Filippo: “E io posso farti vedere i trofei degli Apostoli. Se vai in Vaticano o sulla strada di Ostia potrai vedere i trofei di coloro che hanno fondato la Chiesa romana“. Malgrado alcune dispute filologiche la parola “trofei” non ha un semplice significato commemorativo; significa “tomba dei martiri” oppure “ossa dei martiri” perché il corpo di un testimone di Cristo è considerato come l’emblema della propria vittoria. È proprio questo significato che alcuni scrittori come Eusebio, Prudenziano, San Basilio, San Gregorio, Sant’Ambrogio attribuiscono a questo termine.
Eusebio parla esplicitamente del Vaticano e della strada di Ostia come dei luoghi di sepoltura di “coloro che hanno fondato la Chiesa di Roma”. Orbene, M. Guarducci analizzando gli scavi condotti sotto la Basilica di San Pietro e interpretando un graffito in greco ritiene che proprio sotto la Basilica madre della Cristianità si trova la tomba di San Pietro.
Questa scelta di Roma come “capitale della Cristianità” metteva a confronto due ideologie inconciliabili: da una parte l’ideale cristiano, il culto del Dio Unico, il messaggio di amore e di umiltà che a volte abbassa, a volte esalta l’individuo; dall’altra l’onnipotenza dello Stato promosso a rango di divinità in mezzo al caos delle teogonie e delle morali le più diverse. Anche tenendo conto delle prime crepe che appaiono nel meraviglioso edificio imperiale, la disuguaglianza tra le due forze è lampante. Il potere imperiale dispone di tutto l’apparato legislativo e della forza. Può contare sulla complicità di tutti coloro le cui ambizioni sono contrariate dalla nuova dottrina e può fare leva sull’inevitabile capitale di odio, di crudeltà e di malvagità che alberga in fondo al cuore di tanti individui.
La Chiesa perseguitata e decimata dovette anche affrontare la piaga delle eresie e lo scandalo delle apostasie ma in definitiva dopo due secoli e mezzo sarà il potere a capitolare. La civiltà romana, oramai stanca, finisce col vedere nella sua conversione l’unica possibilità di sopravvivenza. Nel momento preciso in cui Roma sembra condannata a cedere il passo e a scivolare verso un irrimediabile declino è il Cristianesimo a farne la “Città Eterna” e a raccogliere la sua prodigiosa eredità. Ed è in nome di Roma che i “Barbari” saranno a loro volta conquistati dalla fede.
Tutto avviene nel 312. Costantino e Massenzio si affrontano a Prima Porta, alle porte di Roma, laddove si ergeva la casa di Livia. Costantino ebbe una visione: gli apparve la croce con la scritta famosa IN HOC SIGNO VINCES “Vincerai grazie a questo simbolo” e l’imperatore sconfisse Massenzio. Con l’editto di Milano del 313 stabilì la libertà religiosa nell’impero e lui stesso nel 323 si convertì al Cristianesimo.
A partire dal 330 la capitale dell’impero è Costantinopoli mentre dal 404 dopo l’abbandono di Milano da parte di Onorio la vera capitale dell’Occidente è Ravenna. La città è stata scelta perché meno esposta alle invasioni barbariche della metropoli lombarda e più facile da difendere perché città portuale che approfittava del dominio marittimo romano.
L’ultimo trionfo di un imperatore celebrato a Roma fu quello di Onorio nel 403. L’anarchia regnava sovrana nell’antica capitale: Roma fu conquistata nel 410 da Alarico, nel 455 da Genserico e i suoi Vandali. Odoacre che ha deposto nel 476 Romolo Augustulo chiudendo definitivamente la saga della dinastia occidentale fu abbattuto dall’ostrogoto Teodorico. Sotto questo sovrano che ha l’ambizione di voler ripristinare l’antica grandezza di Roma, la città diede per un breve periodo l’impressione di voler rinascere. La morte di Teodorico nel 526 seppellì definitivamente questo sogno.
I sovrani ostrogoti fortemente influenzati dalla romanità hanno rispettato il patrimonio culturale latino e saputo circondarsi da letterati di grande prestigio come Cassiodoro o Boezio.
L’Impero romano di Costantino e il suo tramonto
L’impero romano rappresentava una solidarietà organizzata di popoli che non si poteva definire europea. Tutto girava intorno al Mediterraneo e al suo epicentro che era l’Urbe. Le istituzioni militari, fiscali, amministrative che costituivano l’armatura di questo universo mediterraneo impedivano all’Europa di nascere. Appena l’ossatura poderosa dell’impero romano cominciò a manifestare cedimenti, apparve timidamente la prima elaborazione di questa realtà che chiamiamo Europa.
A un certo punto l’impero romano che raggruppava intorno al Mediterraneo terre occidentali, orientali, asiatiche, meridionali e africane si è spezzato in tre parti. Ognuna affrancata dall’autorità dell’Urbe ha dovuto inventarsi una propria vita. I territori orientali sono stati i primi a fare secessione. Nel 330 Costantino trasferì la capitale dell’Impero da Roma a Bisanzio e alla morte dell’imperatore Teodosio nel 395 l’Impero fu diviso in due parti: un impero d’Occidente con capitale prima a Milano e dopo a Ravenna e un impero d’Oriente con capitale a Costantinopoli.
La divisione dell’impero tra Oriente e Occidente ha permesso di evidenziare le profonde divergenze che esistevano tra i due mondi. L’Occidente era fondamentalmente agricolo con grandi proprietà rurali, l’Oriente molto più evoluto, costellato da città piene di vita, ricche, riempite di negozi dove abbondavano i prodotti di lusso, alcuni frutti di un artigianato locale, altri portati da carovane che venivano da lontano.
L’altra frattura è rappresentata dal tragico crollo dell’Africa romana sotto i colpi dell’islam. Gli eserciti fanatizzati di Allah si lanciano sulla Siria nel 634, sull’Egitto nel 640, sull’Africa nel 643 e sulla Spagna nel 711. Erano terre profondamente romanizzate e cristianizzate che avevano saputo dare alla civiltà occidentale personaggi di primo piano come Settimio Severo o Sant’Agostino; una volta conquistate dagli Arabi girano le spalle al loro secolare passato e diventano una minaccia per l’Occidente.
Di fronte a queste due clamorose secessioni l’Occidente non rimane fermo e cambia radicalmente. A partire dalla fine del V secolo è nelle mani dei Germani. Se potessimo dare un’occhiata a una carta dell’impero romano della fine del V secolo contempleremmo una realtà di questo genere: la parte orientale non è minacciata da invasori e rimane sempre sotto lo scettro dell’imperatore di Bisanzio mentre nella parte occidentale è attestato un fiorire di popoli nuovi. I Franchi occupano il nord della Gallia, gli Alemanni la Gallia orientale e la Renania, i Burgondi il lago Lemano, la Saona e il Rodano, i Visigoti il sud della Gallia e la Spagna; in Italia domina il regno di Odoacre. In poche parole l’Occidente è già popolato da invasori germanici che domani ne faranno la loro patria.
Nel tentativo di ripristinare l’unità dell’impero Giustiniano nel VI secolo strappando ai Vandali la parte orientale dell’Africa, agli Ostrogoti l’Italia, ai Visigoti il sud ovest della Spagna realizzò una conquista effimera che non coinvolse la Gallia, la maggior parte della penisola iberica, i territori a nord delle Alpi e ad est del Reno per non parlare dell’isola dei Bretoni.
Un nuovo assetto trovò la sua espressione politica alla soglia del IX secolo: l’impero carolingio. Non si tratta di un cambiamento dinastico ma della consacrazione politica di un mutamento fondamentale delle strutture in seno al mondo occidentale: l’elemento nordico diventa essenziale e sostituisce il vecchio centralismo mediterraneo. Si dimentica il latino per fare posto alle lingue germaniche o romaniche; poco a poco s’impone una civiltà barbara che ha in sé elementi e tradizioni di ispirazione orientale o nordica, che ha le sue leggi e la sua concezione propria della famiglia e del matrimonio. Per capire il capovolgimento provocato dall’inserzione di questo elemento nordico nel panorama europea, Lucien Febvre prende l’esempio di due cittadini di Lione, il primo del IV secolo, il secondo del IX secolo.
L’uomo del IV secolo viaggia. Si sente a casa propria a Roma, naturalmente; a Gades nella Spagna meridionale; a Cartagine. Se appartiene all’aristocrazia senatoriale può perfettamente possedere delle terre in Grecia o in Asia Minore. Non è uno straniero a Antiochia o a Alessandria. Tuttavia se attraversa il Reno si trova in mezzo ai Barbari dove non è di certo a suo agio.
L’uomo del IX secolo non è più a casa a Cartagine le cui rovine sono in mano agli Arabi, nemici della Croce. Non è a casa a Gadès che fa parte del califato di Cordoba. Ad Atene, Costantinopoli, Nicea, persino a Ravenna si trova nell’impero d’Oriente dove si parla greco e dove gli usi e costumi sono profondamente diversi da tutto quello che conosce. A Alessandria è di nuovo presso gli Arabi. Invece a Münster, Osnabrück, Brema, Magdeburgo sull’Elba si sente a suo agio benché non parli la lingua locale. Ma se conversa con i dotti usa il latino. Può parlare con loro delle grandi opere letterarie o filosofiche. Se entra in una Chiesa può pregare il suo Dio e sentire la stessa messa di quella celebrata a Lione.
Alla luce di questo esempio è facile capire l’importanza dell’inserimento dell’elemento nordico nel quadro europeo. Sulle rovine della vecchia civiltà romana germoglia una nuova civiltà che affonda le proprie radici in antichi strati composti da tradizioni, usi, costumi, strutture profondamente diversificate che raggruppavano elementi barbari e orientali portati dagli invasori. Ovviamente questa nuova civiltà non dimentica completamente il retaggio romano e a secondo dei territori dove emerge dà vita alla civiltà gallo-romana, ibero-romana, bretanno-romana e germano-romana. Gli uomini che elaborano la nuova civiltà s’impadroniscono di una religione per loro straniera, la religione cristiana, e si convertono in massa al nuovo credo. Il terremoto provocato da questa conversione, la forza che ne ricavò immediatamente la religione scelta, la debolezza delle altre istituzioni di fronte a un così radicale mutamento dei cuori e delle menti consentiranno alle gerarchie del mondo cristiano di assorbire rapidamente la totalità delle preoccupazioni culturali delle popolazioni che occupano i territori europei a partire dalla fine del VI secolo.
Il messaggio delle civiltà classiche
Il passato del Mediterraneo insegna l’amore e la passione per la ricerca di nuovi orizzonti. Questo “Mare interno” non ha mai accettato di rimanere chiuso dentro la propria storia. La civiltà mediterranea ha rapidamente capito che per progredire occorreva superare i propri limiti geografici. In un lontano passato, all’alba della Storia, ha appreso l’organizzazione dello Stato dalle civiltà coeve del Vicino e Medio Oriente e dell’Egitto e per secoli è rimasta affascinata dalla cultura trasmessa dai popoli e dagli Stati orientali. Tramite Roma, la civiltà mediterranea si è poi estesa verso le vaste steppe euroasiatiche che confinano con il Mar Nero e, più a Nord ancora, in direzione dei popoli delle grandi foreste, lenti a svegliarsi ma pronti ad accogliere il messaggio civilizzatore dell’impero romano. Più tardi, la cultura mediterranea raggiungerà il Nuovo Mondo e darà vita alla civiltà atlantica.
Il Mare Internum è inserito nel più vasto insieme di terre emerse che vi sia al mondo: il grandioso continente unitario euro-afro-asiatico, che costituisce da solo un vero e proprio pianeta, dove tutto, dai beni, alle idee e alle genti, sin dai tempi più remoti, è circolato precocemente. Gli uomini hanno trovato, attraverso l’unione di questi tre continenti, il palcoscenico che diventerà il teatro dei loro scambi decisivi, dove potranno recitare la loro storia universale. Il peso di questa storia scivola irresistibilmente verso le coste del Mediterraneo, diventate il punto d’approdo d’esperienze infinite che il genio mediterraneo ha saputo trasformare radicalmente. Da queste trasformazioni è nato il volto della prima Europa disegnato dalla Grecia antica. Due dei grandi valori dell’Europa odierna, l’idea di “democrazia” e la convinzione che l’Uomo abbia il dovere di ribellarsi all’ingiustizia, sono nati nell’Atene del V secolo a.C. Il grido di ribellione di Prometeo incatenato sulle pareti di uno dei monti del Caucaso perché colpevole, agli occhi di Zeus, d’aver amato troppo gli uomini, è quello dell’antica Grecia: “Ho cercato la verità; ho trovato la giustizia e la libertà. Ho fatto rialzare l’uomo prosternato davanti agli dèi da oltre quattro millenni e così l’ho liberato dal despota”. È il grido di Elena, Arianna, Antigone, Clitemnestra, Saffo, Medea e delle umili contadine dei villaggi di Creta o della Tessaglia che osavano sfidare i nazisti per andare a seppellire gli eroi della Resistenza, è l’eterno grido dell’Europa che non accetta la tirannia.
L’insegnamento che le civiltà classiche hanno trasmesso al mondo rappresenta un primo sostanziale amalgama che accomuna i popoli d’Europa. Nel discorso pronunciato all’inaugurazione dei monumenti dell’acropoli, risorti dopo la terribile distruzione provocata nel 480 a.C. dalla seconda guerra persiana, Pericle osò lanciare un messaggio all’avvenire: “Possiate dire di noi secoli futuri che abbiamo costruito la città più bella e più felice”. Nessuno prima di lui aveva mai interpellato il futuro! Uscito dall’esperienza della guerra, Pericle aveva capito che la creazione di opere di pace in grado di sfidare i secoli era la sola cosa che potesse generare la felicità.
Questo messaggio va perennemente riproposto. Siano benedetti coloro che attraverso le loro opere continuano a trasmettere l’eterno grido delle civiltà classiche.
Nel 1981 incontrai Melina Mercouri appena nominata Ministro della Cultura nel nuovo governo di Andreas Papandreou. Interrogai la grande attrice sui suoi anni di esilio e alla mia domanda: “Signora durante i sette lunghi anni trascorsi a Parigi cosa Le è mancato della Grecia?”.
Mi rispose “Il giorno di Pasqua, la messa della risurrezione nelle chiesette dei paeselli e l’odore degli agnelli arrostiti sulle piazze in onore del “passaggio del Signore”. Poi aggiunse: “Ma badi bene che ogni Greco porta la Grecia in sé”.
Ammirando le opere del Maestro Georgios Oikonomoy sento di dire che porta in sé non solo la Grecia ma tutto l’immenso retaggio delle civiltà classiche. Dalla dea madre al mare dell’Ellade, dai racconti di Omero alla gloria dell’uomo, dalla dignità del cavallo alla bellezza attica è l’intero mondo classico che emerge dall’opera di Oikonomoy. Tutta la storia dei miti e delle scoperte archeologiche che hanno segnato la storia della Grecia e del Mediterraneo appare in filigrana nei suoi lavori. Oikonomoy ha rivisitato l’intero percorso di una civiltà che è alla base delle grande avventura europea.
Per celebrare l’evento che attraverso la conversione di Costantino al Cristianesimo era indispensabile che un artista illustrasse il percorso compiuto dal mondo classico che si apre alla nuova dimensione rappresentata dal messaggio di Cristo. Georgios Oikonomoy riesce mirabilmente in questa impresa.
Dalla Presentazione al volume di
Louis Godart
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