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La città di fondazione del Nuovo Continente

Il modello urbano nelle ordinanze di Filippo II

Formato: 21 x 29,7 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 192

Anno edizione: 2005

ISBN: 9788849209235

EAN: 8849209231

UB. INT. : T462B T518c V02c V23e

Contenuto

La grande vicenda della scoperta, esplorazione e conquista del Nuovo Mondo è caratterizzata da una sequenza di avvenimenti che sono stati pazientemente esaminati al fine di conseguire una migliore interpretazione del periodo storico in esame e comprendere al meglio la realtà urbana che ne è la più diretta espressione. Il continente americano ha sempre presentato, anche prima dell’arrivo degli europei, una unitarietà culturale tra le popolazioni precolombiane nonostante le sue notevoli dimensioni potessero far pensare il contrario. Tanti popoli autoctoni si sono avvicendati in periodi diversi in questo territorio, costruendo tassello dopo tassello un paesaggio urbano singolare che manifesterà tutta la sua forza ed efficacia nell’ineluttabile divenire della storia. La città precolombiana, infatti, nasceva come luogo sacro e luogo dell’incontro e anche se in prima istanza il tessuto della città non rispondeva a norme geometriche, con il tempo assunse il carattere di un impianto ortogonale modulare il cui fulcro era il centro cerimoniale. Quest’ultimo era uno spazio monumentale, sul quale sorgevano le più importanti architetture cittadine quali i templi e le residenze dei nobili, mostrando in questo il loro ruolo: rivestire la massima espressione politico-religiosa-amministrativa per la società del tempo. Spesso per la nascita di una città i popoli precolombiani si appoggiavano sull’impianto già esistente dei villaggi agricoli, i quali possedevano, di fatto, una propria struttura socio-economica autosufficiente: questi piccoli nuclei passavano da un urbanizzato semplice, a volte poco definito, ad un sistema urbano più complesso il quale riassumeva in sé tutti gli aspetti cittadini. In altre occasioni la città fu disegnata e fondata ex-novo da re, sacerdoti o rappresentanti della classe dirigente; ma in entrambi i casi essa era il luogo dove vivere, lavorare e svolgere al meglio quelle funzioni urbane di tipo politico-amministrativo, militare e religioso. La rete stradale si dipartiva dal centro caratterizzando tutto il tessuto urbano e la sua importanza era da attribuirsi soprattutto all’esigenza di rendere il più possibile semplici i collegamenti tra le parti urbanizzate sia per gli abitanti sia per il trasporto delle merci. All’interno della città stessa vi era poi una gerarchia degli assi urbani: quelli più importanti, in base al ruolo svolto nella città, si allacciavano alla rete viaria extra-urbana, la quale permetteva il collegamento tra i centri abitati di regioni tra loro anche molto lontane. Con l’arrivo dei conquistadores spagnoli le popolazioni indigene furono assoggettate ad un nuovo potere centrale e il vasto territorio americano fu in breve investito da una nuova realtà urbana: ciò che si presentò agli occhi dei conquistadores non passò inosservato, anzi degno di ogni rispetto, fu annotato con attenzione dai cronisti che seguivano le spedizioni stendendo minuziose descrizioni. Infatti, il cronista che era chiamato a raccontare la realtà americana con la quale si confrontava, spesso arricchiva il racconto mediante aneddoti profondamente vissuti dall’interno e riportati con intensa vitalità. In tal modo il cronista Diego de Landa, ad esempio, nella sua Relación de las cosas de Yucatán, redatta intorno al 1566, riuscì ad entrare in contatto con le popolazioni dell’America Centrale, trasmettendoci una serie di informazioni sul loro modo di vivere e pensare. L’incarico di cronista ufficiale delle Indias fu attribuito dalla Corona spagnola nel 1571 a Juan López de Velasco, presidente e riformatore del Consejo de las Indias. Tuttavia il primo cronista autentico fu proprio Cristoforo Colombo che …se movía con los impulsos descubridores de un hombre del Rinacimiento, pero su mente era de temple medieval: si può affermare che la cosiddetta cuadrícula utilizzata dai conquistadores ricalca il sistema delle bastides, benché esso fosse applicato con qualche variazione secondo gli scopi e l’ambiente in cui s’inseriva. In questa fase, nella realtà del Nuovo Mondo, due culture erano a confronto: quella del colonizzato prevalentemente rurale e quella del colonizzatore che si riconosceva nel sistema urbano propriamente inteso, in altre parole la città. Fin dai primi anni della scoperta, l’obiettivo della Corona spagnola era stato quello di adottare una politica ordinatrice e sistematica in modo da organizzare gli insediamenti definendo un modello urbano che fosse capace di fornire un’unità formale e strutturale in qualsiasi nuova città fondata nel continente appena scoperto, ma che fosse anche un’espressione indiscutibile del nuovo potere. Sicuramente nei primi periodi dopo la scoperta, il sistema delle encomiendas, volute da Colombo nel 1499, con le quali gli indios erano obbligati a servire gli spagnoli che avrebbero insegnato loro la lingua, la religione e i costumi del popolo iberico, ebbe una certa fortuna. Le encomiendas non ebbero lunga vita perché gli indios erano sfruttati e le denunce alla Corona obbligarono la stessa a stabilire che ci fosse un buon trattamento per gli indigeni, ma poiché le condizioni per gli indios non cambiarono l’encomienda fu soppressa per ordine della regina Isabella di Castiglia nel 1502. Attraverso i viaggi i conquistatori avevano il preciso compito di diffondere la fede cristiana fra tutti i popoli autoctoni, in ossequio a un disegno di natura provvidenziale che regolava ogni scoperta. Durante il periodo della conquista, infatti, la Chiesa svolse un ruolo rilevante con la fondazione alla periferia dei territori colonizzati, di un nutrito gruppo di missioni che costituivano un’interessante realtà di radice utopica. Grazie alla concessione da parte della Chiesa alla Corona spagnola di regolare le questioni ecclesiastiche, il pensiero teologico ispirò quello politico. Un altro ruolo di tutto rispetto fu svolto dai pueblos de Indios i quali erano concepiti come fossero più di una semplice città, infatti, erano unità urbano-rurali autosufficienti, ma la loro particolarità urbana fece sì che i francesi e gli inglesi li prendessero a modello per le loro fondazioni nell’America settentrionale. In materia d’urbanistica la Corona includeva sempre, nelle istruzioni affidate ai propri rappresentanti che si avviavano verso il Nuovo Mondo, le direttrici urbane da seguire, anche se esse nei primi anni furono piuttosto vaghe; Carlo V diede per primo indicazioni più chiare, in seguito Filippo II dispose il riordino di tutta la legislazione delle Indie con attenzione particolare alle nuove fondazioni: il 13 luglio 1573 furono pubblicate le ordinanze che esprimevano il volere del re, le Nuevas Ordenanzas de Descubrimientos, Población y Pacificación de las Indias. Di questo codice si suole analizzare e mettere in risalto le direttrici urbane come contributo di uno dei testi urbanistici capisaldi dell’Età Moderna, tra i primi dove si fa programmazione e progettazione urbana. Le Ordenanzas sono strutturate per essere valide congiuntamente: non si possono, quindi, separare i consigli urbanistici dalle restanti disposizioni, perché né Filippo II né i suoi consiglieri pretesero di codificare solo una forma urbana, anche se l’obiettivo primario, che accomuna tutte le scelte delle Ordenanzas, è la fondazione delle città nei nuovi territori. Possiamo affermare che già nell’atto della fondazione di una nuova città vi erano insite una serie di scelte sia fisiche sia di tipo legale-amministrativo, ma è indiscutibile l’importanza del rito della stessa fondazione che era solenne, e voleva rafforzare in questo il senso di conversione e misticismo che caratterizzava la conquista, poiché si sperava così di riparare almeno in parte agli orrori che essa aveva perpetrato. Per prima cosa si segnavano sulla terra le tracce dei lotti principali dell’impianto partendo da quello centrale destinato alla Plaza Mayor, dove si affacciavano importanti costruzioni quali la Cattedrale e gli edifici rappresentativi della città. Partendo da questo spazio centrale s’iniziava la suddivisione del territorio sino a coprire tutto il terreno investito dalle previsioni del piano. Dopo aver definito i lotti si passava alla loro assegnazione che avveniva secondo l’importanza della persona in questione ed in base al ruolo svolto all’interno della città. Con l’analisi dei piani delle città ispanoamericane si è posto l’accento sui diversi modelli urbani che hanno accompagnato nel tempo l’evoluzione della città. Il modello che meglio simboleggia la realtà urbana latino-americana, interpretato quale risultato della transculturazione della esperienza europea in dialogo diretto con la cultura urbana precolombiana, è quello ippodamico, la cui semplicità geometrica si converte in un sistema urbano dal valore più complesso, dove le parti si riconoscono in un unicum che non nega le singolarità e rispetta il territorio dove esso prende vita attraverso la progettazione della città. L’interazione degli elementi formali è la condizione base che caratterizza il processo di occupazione progressiva anche nei secoli successivi alla fase di fondazione della città ispanoamericana.

Carlos Alberto Cacciavillani, si è laureato in Architettura presso l’Università di Córdoba (Argentina) nel 1972. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in ‘Storia dell’Architettura’ presso l’Università Cattolica di Córdoba, e la specializzazione in ‘Studio e Restauro dei monumenti’ presso la Scuola di Specializzazione dell’Università “La Sapienza” di Roma. Si è da sempre interessato alla storia dell’architettura ed in particolare a quella dei paesi dell’America Latina, ove lungamente ha operato: è stato professore di Storia dell’Architettura Argentina e Latinoamericana presso l’Università di Córdoba nel periodo 1972-1980. Ha partecipato con contributi propri a conferenze, corsi, seminari, congressi, nazionali e internazionali, su diverse tematiche riguardanti l’Urbanistica, la Trattatistica e la Storia della Architettura in Italia e all’estero. Segue da tempo diversi filoni di ricerca: uno proteso allo studio delle città coloniali, e dell’architettura latinoamericana, l’altro allo studio dell’architettura Iberica (Spagna e Portogallo), nonché alla trattatistica Ispanica dal ‘400 all’800. Ha pubblicato saggi in riviste specializzate, contributi in diversi bollettini e quaderni di ricerche universitarie tra i quali: Brasile Ieri; Viaggio intorno al Brasile coloniale e alle sue architetture; L’architettura nel Viceregno del Rio de La Plata, dalla conquista all’Indipendenza; Riflessi dell’architettura Europea in America Latina: Argentina e Cile; L’architettura del Modernismo Catalano: autori e opere. In Italia, è attualmente docente presso la cattedra di Storia dell’Architettura II e la cattedra di Storia delle Tecniche Architettoniche nella Facoltà di Architettura di Pescara, dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti.

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