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Lost in Nature

Jarmund/Vigsnæs AS arkitekter (MNAL)

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Formato: 22 x 24 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 64

Anno edizione: 2008

ISBN: 9788849214765

EAN: 8849214766

UB. INT. : T441A V03i V43g

Contenuto

È molto difficile che un architetto riesca a produrre un’immagine rappresentativa del proprio lavoro molto presto; ancora più difficile è che riesca nel corso degli anni a mantenere la rotta della propria ricerca senza cadere in rigide risposte ideologiche, perdendo così la vitalità e lo stimolo di una continua sperimentazione. Nel lavoro dello studio norvegese JVA, fondato a Oslo nel 1996, è possibile riconoscere una coerenza di contenuti che affonda le sue radici molto lontano, e che si mostra sempre capace di rinnovarsi e di accettare le sfide che ogni singola occasione progettuale può offrire senza mai trasformarsi in uno “stile”. Anche per questo, ma non solo, il lavoro condotto da Einar Jarmund, Håkon Vigsnæs e Alessandra Kosberg è, all’interno del panorama architettonico contemporaneo, di particolare interesse. Un primo aspetto interessante è il legame evidente con l’eredità di una linea ancora breve ma molto solida di modernismo nordico che si ritrova nell’opera di Arne Kosmo, Knut Knutsen e che ha i suoi riferimenti più evidenti nel lavoro di Sverre Fehn. Nei loro progetti si ritrova in vario modo quella stessa dimensione intellettuale ed emotiva che ha come centro di ogni riflessione l’uomo e la sua fragile condizione, quel bisogno cioè di rispondere primariamente ad un’istanza sociale attraverso quella che Christian Norberg- Schulz definisce “un’architettura sana e fondamentalmente semplice, il cui scopo è quello di porsi al servizio dell’uomo comune”. E proprio questa aderenza alle necessità prime cui deve rispondere il progetto si trova di nuovo nell’attenzione posta sul benessere fisico e psicologico dei fruitori, nel pacato equilibrio tra desiderio di astrazione e adesione ai temi di un “regionalismo nordico” ancora fortemente radicato nei luoghi, nella sensibilità per i materiali e per i dettagli a tutte le scale. Il risultato è in sostanza un atteggiamento che da un lato tende a mettere l’accento sull’immagine complessiva dell’edificio, fatta di rapporti proporzionali, geometrie, relazioni, dall’altro non trascura mai le soluzioni di dettaglio, materiali e immateriali, necessarie a realizzare una conciliazione profonda tra uomo e architettura. In quest’ottica si possono leggere i progetti della White House, della Red House, della Cabin Nordmarka dove la centralità dei temi descritti si accompagna sempre a un uso sapiente della luce, materiale primo nella definizione dello spazio domestico, a un’impostazione spaziale che concepisce lo stare come una dimensione allo stesso tempo collettiva e intima e per questo bisognosa di spazi che, attraverso la loro conformazione, stabiliscano unione o isolamento e all’uso accurato e consapevole dei materiali, che per quanto attingano alla tradizione costruttiva locale sono sempre reinterpretati in una logica specifica e sempre funzione di un preciso tema figurativo. Un secondo aspetto che va certamente affrontato riguarda il modo in cui questa sensibilità trova una sponda narrativa importante nel rapporto con la natura. come afferma Sverre Fehn in un’intervista pubblicata nel 1984 “(…) il clima, il retroterra sociale, la luce sono diversi. La natura è incontaminata. (…) Qui al nord ci muoviamo nella nebbia, in un mondo senza ombre, lungo una strada dove le ombre non definiscono nulla”. In tutti i progetti presentati (ma in particolare nella Villa by the Ocean, nel Governor of Svalbard, nello Svalbard Science Center) la natura incide nella determinazione di soluzioni planimetriche e formali, attraverso un approccio mai ripetitivo e mai ideologico e che sa sempre scegliere tra armonia e contrapposizione, suggerendo di volta in volta se gli edifici si debbano nascondere o esprimere con forza. Citando ancora Christian Norberg- Schulz “allorché si rinuncia alla storia come fonte di comprensione intellettuale e di ispirazione, è generalmente la natura a subentrarle, e insieme a essa, grazie all’intimo loro rapporto con le condizioni naturali, le tradizioni peculiari di ciascuna regione”. Di qui anche l’impossibilità di imbrigliare all’interno di un una definizione il lavoro dello studio JVA che sembra piuttosto muoversi con grande agio tra geometrie pure e complesse articolazioni spaziali, tra astrazione e oggettività, tra materiali naturali e materiali artificiali, tra tradizione e contemporaneità. Un’ulteriore aspetto che caratterizza i contenuti del lavoro sempre “sperimentale”di questo gruppo è la grande attenzione posta sull’aspetto costruttivo, imprescindibile momento di verifica. La semplicità di alcune soluzioni (come per la Fisherman’s Hut) rivela tuttavia la presenza di uno spiccato senso del lirico, capace di far riaffiorare immagini e contenuti di una tradizione che si rinnova nella forma e nel linguaggio. Le soluzioni adottate si dimostrano sempre espressione dei programmi funzionali perseguiti e il simbolo delle finalità evocative che l’edificio ambisce a narrare: metafore di navi, alberi, rocce o anche solo visioni effimere che il luogo suggerisce. E in questo senso l’eredità di Fehn si rivela in tutta la sua forza: basta pensare alla poetica strutturalità del progetto per il Padiglione dei Paesi Nordici realizzato a Venezia nel 1958 o al progetto di concorso per il Crematorio di Larvik del 1950. “L’albero è una pianta strana. Contiene per sua natura una struttura magnifica e forte; ciascuna specie ha acquistato una sua forma specifica. Esiste un intero mondo di differenze espressive tra una quercia e un abete. In comune hanno però il drammatico incontro fra la terra e il cielo. Il punto di intersezione, l’orizzonte, è il punto in cui l’albero raccoglie tutta la sua forza e raggiunge la sua grandezza costruttiva” (Sverre Fhen, The dream of great construction, 1992).

Dalla prefazione di Francesca Argentero

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