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Elzeviri per Margherita

Nostalgia di una trama

Formato: 17 x 24 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 208

Anno edizione: 2002

ISBN: 9788849203127

EAN: 8849203128

UB. INT. : T301B V21f

Contenuto

N° 60 della collana “Le storie della Storia” fondata da Giuseppe Selvaggi e diretta da Silvio Traversa

Questa avventura della mente, e della conseguente poesia, con i libri di Giulio Ghirardi, segue al quinto titolo in questa collana. I collezionisti, e sappiamo che ce ne sono, intendano questo come lo snodarsi, meravigliosamente inventivo, tra capriccio di gioia e meditazione sul dolore-mistero umano, di una sorta di poema unico. Ancora da chiudere, perchè la ricerca di uno quale Ghirardi, uno in senso di unico ma con gli altri comunicante tramite la pagina, non si chiuderà mai. Un “mai” che va oltre il citato mistero umano. C’è da ricordare, come informazione editoriale da parte di chi cura la collana, che questi sei libri, hanno un precedente al limite della previggenza di critico e di storico, in una raccolta di saggi (1991) dal titolo e contenuti di allarme: “Addio Novecento”. In questi saggi Ghirardi operava una azione di raccoglimento per stabilire che un tempo, tra i tempi dei tempi dell’universo, è scaduto. Ora, il resto. Quale?
Giulio Ghirardi, in strutture narranti di pensiero meditativo da filosofo e matematico, matematica come sintesi musicale dell’universo stesso, non risponde all’interrogativo, perchè da uomo contemporaneo non scaglia la quiete dei “sistemi”. Sa che il futuro è lineare, ma la linea è da percepire: punto dopo punto per la impossibile risposta.
Ma Ghirardi è, nelle fondamenta della sua psiche, del suo dna-anima, poeta. Con queste stigmate incancellabili, insanabili, egli ha il dono della meraviglia, quindi del divertimento inquieto. È, nelle pagine, anche provocatore di divertimento: cioè di un momento salubre di lettura per ottenere quiete, e felicità, tramite la pagina. Ghirardi, quindi, è anche narratore, pur restando, noi lettori, avvolti nel suo enigma che ruota intorno alla vita, ai temi, ai personaggi. Anche questo senso di cerchio è ghirardiano. Intanto leggiamo.
Giuseppe Selvaggi

Elzeviri per Margherita è un finissimo collier, un gioco ad incastro che agisce nell’immaginazione come un caleidoscopio nell’occhio: tanto è forte la regola che governa la struttura di ogni suo disegno, tanto mutano le forme e i colori non appena lo si agiti un po’. Il suo timbro è quello percussivo di un’assorta riflessione arsa e impietosa sul tempo e sul viaggio, sulla contaminazione che da forma all’ondivago genere letterario in cui viene ricordata la mise en abime di un incontro memorabile, in una lingua spoglia e priva di appelli emotivi, ma anche densa di temperatura mentale e spirituale, tra ragione e delirio, origine e lacerazione, luce e tenebra, senso e assenza, limite e illimitato, sogno e rinuncia, solitudine e colpa, totalità inseguita e frammentismo irrinunciabile. Con eleganza naturale che spesso agisce per evidenza visiva, quasi da decalcomania, delle figure e degli eventi raccontati, Ghirardi si muove in una zona volutamente minore e marginale di “piccoli fatti privati”, il suo sguardo ironico e come distratto si rivolge a quelle figure e a quei piccoli accadimenti che si impigliano nella ragnatela dei suoi testi e crescono per minimi accostamenti, per irradiazioni di un senso che si dissemina a mosaico tra meraviglia e tentazione metafisica.
Renato Minore

Se gli Elzeviri di Ghirardi hanno le arditezze del cromatismo musicale, della nuova armonia della libertà, la materia del loro canto appartiene tutta all’ordine che da sempre imprigiona l’uomo nelle sue terrestri insolvenze.
Solitudine, ricordo, sogno, rinuncia, derisione, ironia. C’è, dentro, la storia di un’anima in colloquio con se stessa per necessità di parlare con il mondo; che non si perde, che si moltiplica in un infinito gioco speculare ma non si perde, perché altrimenti non si spiegherebbero il disincanto, l’amara sapienza di vita, il ritmare di una moralità che poche cose – un incontro, l’eco di una sinfonia, un’emozione veneziana, uno sguardo sul mare – riescono a rendere meno corrucciata. E proprio un incontro, una conversazione, una situazione, provocano qui la rincorsa dei pensieri, gli sfoghi del cuore di questo monaco laico amante dell’arte e nemico della volgarità: l’incontro con Marguerite Yourcenar – sono passati vent’anni propizi al sedimentarsi delle memorie -, la conversazione reticente, qualche parola scura, la voce grumosa e i silenzi di una scrittrice molto amata, e poi, la nave da Alessandria sul mare opaco, “arcigno”, di un inverno remoto, dentro la nebbia che pesa allo stesso modo sull’anima e sui profili di Venezia. Un viaggio e il racconto di un viaggio in cui la vita e la letteratura confondono ii riscontri e si scambiano i pretesti.
Ennio Rossignoli

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