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Visita al Risorgimento
Il Museo Centrale del Risorgimento di Roma
Autori: Pizzo Marco
Formato: 15 x 21 cm
Legatura: Filorefe
Pagine: 112
Anno edizione: 2005
ISBN: 9788849209792
EAN: 8849209797
UB. INT. : T524C V14i V15e V24i BRAMP
Contenuto
PERCORSO DI VISITA
· La diffusione degli ideali di libertà
· I protagonisti del Risorgimento
· Momenti e tappe del Risorgimento
· La prima guerra mondiale
AREE TEMATICHE
· La storia della lingua
nella storia d’Italia
· Il tricolore
· La guardia civica
· Reliquie laiche
· Il brigantaggio
· La satira
· Tecniche di riproduzione della realtà
· Soldati-pittori e pittori-soldato
· Il concorso delle Medaglie d’Oro
La ricostruzione delle vicende che hanno portato alla formazione delle collezioni presenti all’interno del Museo Centrale del Risorgimento di Roma deve partire da una premessa necessaria, volta a chiarire alcuni nodi fondamentali sulle dinamiche della conservazione delle memorie del Risorgimento e sulla loro organizzazione mirata all’interno di un percorso di visita didattico. Il primo punto da affrontare sarà quello di individuare quando si iniziò a conservare il Risorgimento. Quando si iniziò una raccolta sistematica di oggetti, documenti e cimeli al fine di tramandare la memoria di fatti storici o di singole persone? Inevitabilmente l’analisi di questo fenomeno si intreccia con quello degli orientamenti storiografici sul Risorgimento, per cui la creazione di ogni nuovo museo di storia rappresenta la sintesi di un orientamento storiografico frutto di una determinata epoca che, nel caso del nuovo percorso di visita del Museo Centrale del Risorgimento di Roma inaugurato il 2 giugno del 2001, diventa una riflessione su circa centocinquant’anni di storiografia spesso con valenze interdisciplinari1. Il collezionismo di cimeli – intendendo questo termine nella sua accezione più ampia di oggetti, disegni, fotografie, documenti, armi, ecc. – legati a singole fasi risorgimentali si svolge quasi in contemporanea con gli eventi. Nel 1849 Stefano Lecchi realizzò il suo reportage fotografico sulle sfortunate vicende della Repubblica Romana, destinando la sua produzione verso un ben determinato circolo di collezionisti e di appassionati che utilizzava foto e ritratti per comporre i propri, personali, musei-collezione: una variante politica e storico-autobiografica dei Wunderkammera tanto cari alla tradizione del collezionismo occidentale. Si trattava di memorie in grado di rievocare specifiche vicende personali, passioni ed idealità. Un intento non troppo dissimile da quello seguito, circa trent’anni dopo da Alessandro Pavia per comporre il suo Album dei Mille, sul quale dovevano trovar posto i ritratti dei vari partecipanti alla spedizione garibaldina del 1860. Un prodotto che si rivolgeva sia ai Mille che alle città, al fine di recuperare i volti dei singoli protagonisti della più recente storia locale. Questo orientamento collezionistico è alla base della fondazione non solo del Museo del Risorgimento di Roma, ma di qualsiasi museo di storia otto-novecentesca in cui i collezionisti erano spesso gli stessi interpreti delle vicende, patrioti, soldati, liberali. A questo riguardo un’azione incisiva e di fondamentale importanza fu quella svolta dalle numerose Società dei veterani delle patrie battaglie, il cui scopo era quello di “tener viva la memoria dell’eroiche gesta di un’epoca tanto gloriosa” attraverso la raccolta di armi, stendardi, divise, distintivi, monete, ecc. Il carattere “militare” di queste associazioni di reduci (e quindi di collezionisti) spiega la presenza, assai numerosa in tutti i musei del Risorgimento, di armi, di uniformi, di insegne e bandiere risorgimentali che ha spesso ingenerato una sorta di confusione tra i musei del Risorgimento e i musei militari tout court come quelli, ad esempio, dell’Artiglieria, del Genio, della Fanteria o della Marina. Una confusione favorita anche dal fatto che singole sezioni di questi musei sono spesso dedicate alle guerre d’indipendenza nazionale. Questo fenomeno trova una ben precisa spiegazione storiografica ancorata all’interno della tradizione tardo-ottocentesca che identificava nelle guerre d’indipendenza, le tappe fondanti dell’unità nazionale, limitando così alla successione bellica la storia del Risorgimento, che si riduceva alla illustrazione delle singole battaglie e alla glorificazione dei vari episodi di valore individuale, gli eroi del risorgimento. Eroi che avevano spesso un forte radicamento locale, così come i luoghi che furono teatro di scontri particolarmente significativi, da Mentana a Castelfidardo, hanno visto, in epoche e periodi diversi, la creazione di musei incentrati sulla commemorazione di un singolo episodio, di per sé bastevole a giustificare la creazione di un percorso didattico. In questo modo si assiste al confronto di due esperienze diverse: da una parte il collezionismo del singolo, dall’altro una intera comunità che si identifica in un episodio storico e ne cerca di perpetuare il ricordo mediante la costruzione di un monumento o di un museo. La creazione del Museo Centrale del Risorgimento all’interno degli spazi del Vittoriano rappresenta a tutti gli effetti la sintesi compiuta di questi due orientamenti facendo rientrare la celebrazione del Milite Ignoto all’interno del suo percorso di visita. La prima idea per la creazione del Museo Centrale del Risorgimento di Roma, che sarà fin dall’inizio strettamente collegato con la storia dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano del quale rappresenta una delle attività, può essere rintracciata nel 1880, quando a ridosso della morte del re Vittorio Emanuele II avvenuta nel 1878, era stata avanzata la proposta di fare una raccolta di documenti, libri e cimeli utili a raccontare il Risorgimento italiano presso la neo-nata Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II. Proposta che vide una sua prima attuazione solo nel 1883 grazie ad uno specifico stanziamento. Questo atto fu il preludio di una vasta attività celebrativa che avrebbe presto interessato tutta la penisola con varietà di accenti e di articolazioni. Già allo scadere del XIX secolo una serie di mostre e di musei commemorativi presero a sorgere al fine di ricordare l’epopea risorgimentale. Nel 1884, all’interno dell’Esposizione generale italiana di Torino venne inaugurata una specifica sezione dedicata al Risorgimento. L’11 marzo del 1884 alcuni rappresentanti della commissione romana per la raccolta di materiale per l’allestimento di una mostra sul Risorgimento che doveva aver luogo a Torino, inoltrarono al re Umberto I una proposta per creare stabilmente a Roma un museo nazionale sul Risorgimento. Nell’estate del 1888 la mostra intitolata Tempio del Risorgimento italiano, tenutasi a Bologna, presentava una struttura molto simile allo standard dei futuri musei del Risorgimento, “nel quale oggetti, uniformi, armi, quadri, medaglie, ritratti, carte, documenti, libri, opuscoli (…) richiamavano alla mente del visitatore le grandi fasi ed i piccoli episodi della lotta vigorosa e gloriosa sostenuta a cominciare dal 1790 fino al 1870”.Intanto il primo nucleo di libri, manoscritti, cimeli, dipinti e sculture raccolti nella Biblioteca Nazionale di Roma si andò lentamente ampliando, strutturandosi tramite una mirata campagna di acquisti e di donazioni in un apposito fondo che venne ordinato ed inventariato nel 1906 dando vita, all’interno della Biblioteca Nazionale, alla Sezione del Risorgimento. Con il regio decreto n. 212 del 17 maggio 1906, dietro proposta degli onorevoli Sonnino e Boselli, si era istituito un Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento, che nell’idea del legislatore doveva essere una sorta di preambolo per la costituzione del primo nucleo del Museo, giacché tra i suoi compiti era annoverato anche quello di “raccogliere, preparare ed ordinare i documenti, i libri, e tutte le altre memorie che interessano la storia del Risorgimento italiano”. Questo primo nucleo costitutivo del Museo era rappresentato da vari cimeli provenienti dal fondo istituito presso la Biblioteca Vittorio Emanuele II di Roma: si trattava di pezzi di svariata provenienza in genere acquisiti sul mercato antiquario o tramite lasciti o donazioni da parte di eredi di patrioti risorgimentali o di artisti. A questo primo nucleo che potremmo definire “miscellaneo” si era aggiunto, agli inizi del secolo, l’acquisizione parziale della collezione Pavia, quella della collezione Padoa e dei ricordi di Timoteo Riboli. In questi casi si trattava sempre di raccolte eterogenee che rispecchiavano criteri e gusti dei loro artefici. Nel 1911, in concomitanza con le celebrazioni avvenute a Roma per il cinquantenario dell’Unità d’Italia11, venne allestita all’interno dei locali del Vittoriano una prima mostra temporanea sul Risorgimento, curata da Vittorio Fiorini, che ben esprimeva gli intenti del nascente Museo. Si affermava, inoltre, che questa mostra avrebbe dovuto far “vedere o intravedere le relazioni fra esso[il passato] e le condizioni presenti”.Questa prima mostra, che ebbe anche una lunga durata (dal 20 settembre 1911 al 30 aprile 1913), era soprattutto una sorta di presentazione ufficiale del vario ed eterogeneo materiale (documenti, armi, cimeli di vario tipo, stampe, disegni, dipinti e sculture) che era stato raccolto fino a quel punto e sarebbe dovuto diventare il nocciolo di un più vasto museo storico documentario che doveva comprendere oltre alla collezione d’arte anche un imponente archivio e una biblioteca storica tematica13. Si venne così a creare uno specifico fondo iconografico composto da disegni, dipinti, incisioni e fotografie tutte incentrate su aspetti dell’800 italiano e straniero14. Da una relazione redatta il 16 maggio 1913 dagli architetti preposti ai lavori del Vittoriano Manfredo Manfredi e Amerigo Pullini, letta e commentata dal senatore Matteo Mazziotti, si ha una prima idea sul futuro Museo che avrebbe dovuto avere “questa distribuzione: 1) Il Museo del Risorgimento nella galleria servita per la mostra del 1911, comprendendo in esso bandiere, uniformi, armi, ricordi personali, fatti guerreschi, busti, quadri e simili, meno il medagliere Padoa con i suoi successivi accrescimenti…; 2) La biblioteca nel grande corridoio in curva; 3) Nelle sale laterali le raccolte di ritratti, scene e figurazioni massime di battaglie, episodi, panorami, monumenti, allegorie, carte topografiche, piante, schizzi, disegni ed altre stampe”16. Ma lo scoppio del primo conflitto mondiale e la tormentata vicenda della conclusione del Vittoriano provocarono una notevole variazione nell’assetto degli spazi interni.Fin dal 1915 Paolo Boselli, presidente del Comitato Nazionale per la Storia del Risorgimento, intraprese una mirata attività finalizzata all’incremento del materiale del Museo Centrale del Risorgimento con le testimonianze della guerra che “si presentava come un corollario storico delle guerre della nostra unità politica”. Tramite una serie di corrispondenti vennero così richiesti manifesti governativi, ordini del giorno militari, proclami, bandi, canti popolari, diari e corrispondenze di guerra, ritratti fotografici dei soldati caduti sul fronte, giornali stranieri e “materiale grafico di ogni specie (ritratti, istantanee di azioni militari, di monumenti, illustrazioni di propaganda, caricature, ecc.)…[e] una raccolta compiuta di cartoline militari uscite prima e durante la guerra…[e] fotografie originali (edite e inedite) fatte per i migliori giornali illustrati”. Questa estensione cronologica che fissava il termine post quem per il Museo, che avrebbe compreso anche la prima guerra mondiale, considerata come la quarta guerra dell’indipendenza nazionale, venne esplicitata il 9 ottobre 1919 con uno specifico decreto legge e vide la sua oggettiva espressione quando il Vittoriano divenne, nel 1921, il sito prescelto per accogliere le spoglie del Milite Ignoto. Vero e proprio “termine ultimo” in senso culturale, della Grande Guerra. Il contenitore del futuro Museo Centrale del Risorgimento era divenuto così parte integrante del suo contenuto.All’incirca nello stesso torno di anni, acquisti e donazioni avevano portato alla costituzione di un importante e consistente fondo iconografico costituito dalle opere dei cosiddetti pittori-soldato della Grande Guerra, che con le loro opere avevano documentato tappe e momenti della prima guerra mondiale. Ma ancora mancava una degna cornice che potesse contenere, all’interno del Vittoriano ancora in costruzione, tutto il materiale eterogeneo che si era raccolto nel corso degli anni. Una prima, parziale soluzione fu offerta dalla realizzazione, effettuata tra il 1923 e il 1931, della nuova ala del Vittoriano ad opera dell’architetto Armando Brasini. Questa costruzione posta sulla sinistra del Vittoriano, lungo la via che costeggia i Fori Imperiali, avrebbe dovuto accogliere adeguatamente parte del museo e della biblioteca. Ma già nel 1934 Antonio Monti, lamentando “locali insufficienti e inadatti a dar rilievo alle molte opere d’arte che i musei possiedono” oltre alla “scarsezza di mezzi economici necessari ad esporre le collezioni”, metteva anche in luce alcuni problemi museografici come quelli legati alla “prevalenza di criteri personali nel modo di esporre” e il pericolo di inserire all’interno del percorso di visita il materiale fotografico soggetto a rapido deterioramento a causa della luce diretta del sole, rilevando “come siano scomparsi i toni chiari, riducendosi le fotografie alle macchie oscure”. Già in precedenza il medesimo autore aveva affrontato il problema dei “Musei del Risorgimento” in maniera ancor più estesa, osservando come spesso “i musei siano da ripudiare tutti come deposti di urne cinerarie, zone sepolcrali, dominio della morte…[poiché] si esponevano, sub specie di cimeli, i capelli, le unghie, i frammenti di ossa, i sigari fumati per metà da patrioti, le bende insanguinate, le divise costellate di buchi prodotti dalle tarme, ma che al pubblico si lascia volentieri credere siano stati prodotti dalla mitraglia nemica, i cappelli di Garibaldi forati da palle che non hanno mai colpito l’Eroe alla testa, i letti dove dormirono i loro sonni agitati o placidi i grandi uomini del Risorgimento”. Nasceva così la volontà “di ringiovanire i musei”, diventati una sorta di ricettacolo di reliquie laiche del Risorgimento. Si affacciava pertanto una nuova lettura di questi musei che dovevano iniziare a svolgere un nuovo ruolo didattico, “strumenti sempre più efficaci di elevazione per il popolo”, diventando “un grande libro di facilissima lettura”, legando pitture, sculture e cimeli al contesto della storia nazionale e iniziando a “far vedere la Storia”. D’altra parte, proprio in quegli anni una grande mostra storica a Palazzo Carignano a Torino aveva posto il problema dei rapporti tra le collezioni storico-documentarie, le opere d’arte e la didattica della storia e si poneva come “logico preludio al nuovo Museo del Risorgimento”.Durante gli anni ’30 sembrò imminente l’apertura del Museo del Risorgimento, giacché si stava provvedendo alla costruzione di mobili in bronzo e a nuove strutture espositive e anche la collezione d’arte subì un notevole incremento, grazie alla donazione effettuata nel 1935 dalla Regina Elena di una serie di opere provenienti dal concorso nazionale bandito per illustrare “La Guerra e la Vittoria” e che aveva trovato ospitalità al Quirinale, al fine di rievocare degnamente gli eroi della Grande Guerra.La situazione del Museo Centrale del Risorgimento di Roma rimase pressoché immutata fino al 1935 quando si inaugurarono all’interno del Vittoriano i nuovi ambienti che avrebbero dovuto essere destinati alla nuova sede della “Società nazionale per la storia del Risorgimento italiano” (che in seguito avrebbe mutato denominazione assumendo quella attuale di Istituto per la storia del Risorgimento) dalla quale dipendeva il Museo. In questo stesso anno si effettuò una divisione del materiale fino ad allora raccolto tra due istituzioni: la collezione d’arte, i cimeli e l’archivio storico restarono di competenza dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano nei locali del Vittoriano, mentre il fondo della biblioteca e dell’emeroteca, compresa la raccolta dei bandi, furono destinati alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea. Dopo l’acquisizione dei nuovi spazi all’interno del Vittoriano giunsero numerosi cimeli, opere d’arte e documenti tramite donazioni, acquisti e lasciti di eredi di artisti o di eroi risorgimentali, mentre anche dopo il secondo conflitto mondiale si svolse un fitto scambio di prestiti e depositi. Solo nel 1949, e ancora una volta in una mostra temporanea, fu parzialmente esposta la collezione del Museo del Risorgimento in occasione del centenario della Repubblica Romana.Bisognerà attendere però fino al 2 ottobre 1970 per assistere ad un primo tentativo di sistemazione “definitiva” del Museo: l’occasione venne fornita dalle celebrazioni per il centenario del plebiscito romano e il criterio ordinatore del Museo fu, per esplicita dichiarazione, lo stesso della mostra del 1911: “si è voluto, infatti, che il museo rappresentasse lo svolgimento razionale di un concetto organico. Per questo si è adottato…un certo percorso che aiutasse il visitatore a rivivere gli avvenimenti del Risorgimento”. L’allestimento del museo privilegiava un percorso cronologico e spesso i documenti o i cimeli erano inseriti in ambienti “contestualizzanti” ( ad esempio era stata realizzata la ricostruzione del primo parlamento italiano e i cimeli della guerra ’15-’18 erano stati inseriti in scenografiche trincee ).Nel 1972 nei locali del rinato museo venne anche allestita, temporaneamente, una mostra mazziniana, ma anche questa sistemazione fu di breve durata giacché il Museo fu di nuovo chiuso nel 1980 per inagibilità e alcuni spazi vennero adibiti solo a mostre temporanee che consentirono di esporre solo alcune porzioni del ricco patrimonio documentario del Museo.La riapertura del Museo nel 2001, preceduta nel 2000 dalla riorganizzazione degli spazi espositivi dell’Ala Brasini con la mostra “La collezione d’arte”, ha cercato di realizzare un percorso che fosse rappresentativo delle collezioni e che si sviluppasse anche per aree tematiche, in grado cioè di offrire degli spunti di riflessione conseguenti anche al recente dibattito storiografico. I cimeli sono mostrati in diretta relazione con stampe, incisioni e dipinti che li contestualizzano e consentono di recuperane il significato originale: non più reliquie laiche ma elementi in grado di suggerci il profilo di un personaggio o di un’epoca. Tutti i materiali sono trattati come parte di un unico archivio del quale il Museo è una sintetica espressione.
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