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Formato: 17 x 24 cm

Legatura: Filorefe

Pagine: 352

Anno edizione: 2002

ISBN: 9788849203134

EAN: 8849203136

UB. INT. : T413F V22b

Contenuto

N° 59 della collana “Le storie della Storia” fondata da Giuseppe Selvaggi e diretta da Silvio Traversa

Il tunnel ghirardiano prosegue. Questo quinto libro di Giulio Ghirardi, qui in collana, ci conduce ancora nel suo tunnel ch’è labirintico: ma di una geometria in spazio e tempo, rientrante nell’invenzione dello scrittore: il labirinto ha uscite infinite, quasi specchi ottenuti dalla luce di un diamante rotante. Quindi non è un tunnel, non è un labirinto. Siamo, condotti a mano dallo sctittore, tramite occhi e intelligenza sulle pagine, noi stessi. L’autore, proseguendo in questo ascensionale, ma in profondità, poema di se stesso, narra anche il nostro autoritratto. Entra Ghirardi negli scrittori che delle pagine non fanno solo divertimento, che pure c’è ed è gioiosamente illuminante, ma tentazione e modo per scendere in noi stessi. C’è, nell’operazione, tutta però contemporanea, una sorta di metodo dantesco. Le stelle alla fine appariranno. Intanto bisogna vivere il percorso: la vita e il pensiero sulla vita. Del resto lo scrittore è ben consapevole della sua operazione letteraria, inventiva: non a caso nel libro parallelo “Elzeviri per Margherita” di questo cammino dell’intelligenza scopritrice c’è la nostagia di una trama, di un ritratto. La trama dell’avvenire? mutevole secondo ogni uomo. Del ritratto: suo e di ogni lettore.
Su Giulio Ghirardi – e questa annotazione rientra nel dovere informativo della cura della collana – il giudizio letterario si va assestando su posizioni che fanno di lui un protagonista nella nostra letteratura di oggi. La testimonianza è condivisa anche da un suo critico di rigorosa osservanza dello sviluppo dell’avvio di questo Secolo XXI, qual’è Renato Minore. Mentre questo libro parte per le librerie, c’è la notizia dell’assegnazione a Ghirardi, nell’ambito del Premio Pizzo 2002, della Medaglia intestata a Corrado Alvaro: è come un saluto allo scrittore presente di diritto nella famiglia dei narratori-saggisti-poeti e viceversa, come fu Alvaro. Il resto ai lettori, invitati a entrare nella concretezza di un sogno: il futuro.
Giuseppe Selvaggi

Una porta girevole che, come in un quadro cubista in cui si entra contemporaneamente da punti di vista diversi e contrapposti, fa sprofondare l’occhio del lettore da una prospettiva all’altra, da un campo d’azione verso l’opposto regno delle ombre. E l’occhio crea la visione, la visione l’occhio. L’elzeviro è in fondo la conoscenza degli opposti e delle conche in cui il pensiero si incanala. A partire dalla prospettiva. E la prospettiva di Giulio Ghirardi autore di questa raccolta di pensieri, parole, omaggi, spunti, ricordi, riflessioni è quella, obliqua, della frontiera, del limen, del confine in cui attraversare significa lanciarsi in una sfida, una scommessa continua che è la cifra della sua scrittura, il senso del suo viaggio, l’attrazione fatale di tanto pellegrinare. L’elzevirista confonde i piani, lo fa apposta: la scrittura con il tempo, l’arte con le atmosfere, i disegni del tempo e del destino con i risultati e con le magie che solo la scrittura riesce a creare.
Come nel caso di Cocteau: difficile dire dove finisce l’erotismo “pantagruelico” e il donchisciottismo di quello che si definisce un artista totale. Piani sovrapposti dimensioni diverse che contribuiscono a definire la caratura del personaggio. Stilemi più o meno nascosti che delineano le trame. Il pensiero non si arresta alle forme apparenti delle cose, ma va in fondo, fino alla superficie. Perché è la superficie, come insegnava anche Jabès, il punto di partenza di tutte le cose. E il racconto di Ghirardi, che non è mai solo parola o impressione: è superficie, la superficie delle cose dove l’intima natura ama nascondersi, quella superficie in cui (come insegna von Hofmannsthal) va nascosta la profondità. E dove si svela meglio il temperamento di Ghirardi, scrittore umbratile e discreto, che usa l’elzeviro come un “aggregato sfarfallante” alla maniera di Douglas Hofstadter, qualcosa di composito, vibrante, metamorfico dove si depositano i concetti e le analogie riorganizzate e reinterpretate sul solco di un pensiero fortemente creativo.

Renato Minore
(dalla prefazione)

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