Intervista al prof. Claudio d’Amato sul volume LA SCUOLA ITALIANA DI ARCHITETTURA 1919-2012. Martedì 16 luglio 2019, sala Mostre e Convegni Gangemi editore

Intervista al prof. Claudio d’Amato sul volume LA SCUOLA ITALIANA DI ARCHITETTURA 1919-2012. Martedì 16 luglio 2019, sala Mostre e Convegni Gangemi editore

Lunedì 16 luglio 2019, presso la Sala Mostre e Convegni Gangemi editore di Roma, via Giulia 142, intervista a Claudio D’Amato sul volume La Scuola Italiana di Architettura 1919-2012, pubblicato per i tipi della Gangemi editore.

Quest’anno ricorre il centenario della nascita della prima scuola italiana di architettura del XX secolo, la Regia Scuola di Architettura di Roma, fondata da Gustavo Giovannoni; lo stesso anno in cui fu fondato il Bauhaus. Due scuole che hanno rappresentato due modelli opposti per l’insegnamento dell’architettura in Europa; e che ancora oggi si fronteggiano.
Il libro indaga il modello italiano e lo stato di profonda crisi in cui versano oggi gli attuali corsi di studio in architettura, e prova a decifrarne la natura con un occhio rivolto al futuro.
Fino al 1919 in Europa come in Italia la formazione dell’architetto avveniva secondo i due distinti percorsi definiti in Francia, nelle Accademie di Belle Arti o nelle Scuole di Applicazione degli Ingegneri. L’obiettivo di Gustavo Giovannoni, di fondere le due tradizioni dell’École Polytechnique e dell’École des Beaux Arts fu perseguito attraverso un originale ordinamento degli studi il cui modello fu la creazione di un organismo didattico unitario: un modello che rimase unico in Europa, e che definiremo organico. In esso era proposto un curriculum pensato per un apprendimento di base (biennio) e uno applicativo (triennio), in cui le materie d’insegnamento erano distinte in sintetiche (tutte le discipline della Composizione architettonica, collocate dal primo all’ultimo anno), storico-critiche e analitiche (tecnico-scientifiche). L’onere della sintesi era lasciato allo studente, che fin dal primo anno doveva abituarsi a “mettere insieme (comporre)” nel progetto d’architettura i differenti insegnamenti ricevuti. Questo ordinamento rimase in vigore fino alla fine degli anni sessanta, quando furono approvati i “provvedimenti urgenti per l’università” noti come Legge Codignola, con cui si inaugurava la c. d. “università di massa”.
Dopo circa dieci anni, nel 1980 il DPR 382 –a seguito della progressiva anglicizzazione della cultura in conseguenza degli esiti del secondo conflitto mondiale– istituì i dipartimenti (art. 83), e con essi prese avvio la lunga fase di conflitto fra i dipartimenti e le facoltà. La legge stabiliva che a essi spettava l’organizzazione della ricerca (“ma anche” la possibilità di concorrere all’organizzazione della didattica in casi da stabilirsi di volta in volta); mentre alle facoltà restava il compito di organizzare la didattica. Ma soprattutto la 382 aprì un radicale scenario destabilizzante con l’introduzione del tempo pieno e del tempo definito. I docenti potevano scegliere fra una delle due possibilità: il tempo definito consentiva l’esercizio della professione, ma inibiva l’accesso agli organi direttivi della Facoltà/Dipartimento. Il tempo pieno consentiva a tutti l’accesso alle cariche direttive con uno stipendio più sostanzioso. Ciò significò nelle Facoltà di Architettura che i meccanismi di selezione della nuova classe docente iniziassero a considerare non più come fondamentale il progetto di architettura, ma prevalentemente i titoli scientifici (paper, libri ecc.): cioè iniziò a delinearsi una carriera virtuale sempre più staccata dall’esercizio del mestiere. In questo modo la cultura accademica italiana sancì la fine del modello organico a favore di un modello funzionale a una visione più specialistica e settoriale del sapere; un modello che per brevità chiameremo seriale, come insieme di insegnamenti.

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