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La rivista FOR recensisce il volume di Gianluca Biggio “Counselling. Metodi e applicazioni”

La rivista FOR recensisce il volume di Gianluca Biggio “Counselling. Metodi e applicazioni”

Gianluca Biggio, Counselling. Metodi e applicazioni, Gangemi Editore, Roma, 2006,

€ 12,00

Gli eventi e le circostanze createsi e sviluppatesi nell’ultimo decennio, sono molteplici, di segno diverso, ma tutte orientate a indicare nel counselling una delle pratiche “vincenti” oggi nella brulicante realtà delle attività di formazione e sviluppo degli adulti operanti nelle organizzazioni.

La destrutturazione crescente dell’esperienza organizzativa con una vitalità nuova dell’immateriale e una nuova centralità strategica e operativa del “sapere al lavoro”§ la messa in discussione permanente di ogni bagaglio personale di conoscenze, abilità, competenze giornalmente minacciato da una obsolescenza endemica e sporadicamente supportato dalla funzione di leadership, che ha moltiplicato i riporti e – al di là di vocazioni personali alla non attenzione – che ormai è sempre più sovente cristallizzata nella definizione degli obiettivi e nel controllo dei risultati, abbandonando alla solitudine di ogni singolo collaboratore il processo, peraltro sempre più complesso, di realizzazione§ una crescente esposizione alle sfide della contemporanea società “del rischio”, nella quale le indubbie maggiori libertà e opportunità di sviluppo si accompagnano, inevitabilmente, con una pari lievitazione delle non sicurezze in contrapposizione a esperienze opposte, cui la modernità aveva tutti abituato§ l’esperienza umana in generale non più limitatamente considerata per le opere, ma anche e soprattutto per le fasi attraverso le quali si arriva a confrontarsi, acquistandone coscienza, con tutto quello che si vive, all’interno di un nuovo, autentico paradigma della riflessività. Tutto questo è accaduto, insieme a molto altro sta accadendo nei nostri giorni.

Destrutturazione, solitudine, ansia, ricerca del sé possono essere indicati come itinerari di un luogo nuovo per l’esperienza organizzativa: luogo della cura nel quale rivitalizzare la nostra quotidianità ferita e rinnovare le pratiche della formazione oggi sovente sempre più distali e disincarnate. L’universo del counselling, con il frastagliato territorio di pratiche ad esso connesso, è il tentativo di rispondere a tali cambiamenti, a tali bisogni, a tali nuove esigenze di imparare dall’esperienza.

Il pensiero della modernità ci ha consegnato almeno tre prospettive di riflessione che tale somma di esperienze rinnovano alla nostra attenzione.

Noi siamo stati gettati nel mondo e conseguentemente al fatto che l’esserci è costantemente esposto al a, la cura, secondo Heidegger, può essere definita la qualità esistenziale fondamentale, in quanto “l’essere dell’Esserci si rivela come cura”. La cura è ciò che caratterizza nella sua essenza l’Esser-ci rendendone possibile lo sviluppo. Cura come “fenomeno ontologico-esistenziale fondamentale” e contemporaneamente come esercizio di promozione delle possibilità di sviluppo dell’altro, condizione e pratica che rende più garantita la cura del proprio sé.

Il pensiero fenomenologico nella elaborazione soprattutto di Edith Stein propone l’empatia come realtà esistenziale e ontologica completamente indipendente dal tessuto relazionale vissuto con gli altri esseri umani. In altre parole, secondo il pensiero fenomenologico, la possibilità di accedere alla realtà del mondo esterno ci è data non solo dalle facoltà percettive delle cose, ma anche dall’empatia, da quell’attività, in altre parole, che ci rappresenta l’esistenza degli altri e ci testimonia la somma delle loro attese.

Il pensiero di Emanuel Lévinas ci fa confrontare con la forza etica dell’altro, sottolineando di tale rapporto con l’altro il contenuto etico, fondato su una responsabilità originaria verso l’altro priva di reciprocità. L’altro diventa, o meglio assume, significati metafisici e teologici e, in questo senso, l’esperienza con l’Altro perde secondo Lévinas ogni tratto di riconoscimento e di scambio.

Le tre prospettive di pensiero indicate trovano nell’esperienza della nostra contemporaneità – connesse in qualche modo con le tendenze organizzative su indicate – una sorta di rimando diretto che non avevano potuto ricevere nella modernità, le cui esperienze erano rispetto a tale pensiero in clamoroso ritardo culturale.

A tutti questi temi occorre direttamente e indirettamente riflettere per cogliere in tutta la sua ampiezza il lavoro contributivo di G.L. Biggio. Di tanta letteratura apparsa negli ultimi anni sul tema del counselling, l’agile lavoro di Biggio mi è parso il testo più acuto in termini di prospettive culturali e più utile in termini di suggerimento di pratiche operative. Costruito su quattro capitoli, offre una panoramica culturale meditata nella quale collocare le pratiche contemporanee del counselling al di fuori di ogni corrivo sincretismo metodologico e, insieme, il senso di un’esperienza operativa professionale consolidata di molti anni, dalla quale l’autore ha filtrato un proprio modello metodologico, che offre con inusitata generosità ai lettori più attenti.

Nel primo capitolo ci si può confrontare con un quadro molto dettagliato all’interno del quale vengono collocate, dopo alcune notazioni preliminari definitorie, le diverse prospettive che il counselling oggi consacra nelle verifiche operative.

Il secondo capitolo collega counselling e apprendimento esperienziale, sottolineando dell’apprendimento umano la dipendenza “dall’apprendere dall’esperienza” e riuscendo a far collimare nella pratica operativa del counselling la centratura organizzativa con quella individuale.

Il terzo capitolo – che insieme al quarto soddisfa le aspettative dei lettori più interessati alle ricadute operative – definisce i confini clinico-organizzativi del counselling, le fasi del processo e, ponendo nelle pagine conclusive l’analisi della centralità della comprensione del processo psicologico del cliente durante le varie fasi del counselling, analizza la centralità delle abilità relazionali necessarie da parte del professionista per portare avanti positivamente l’intera pratica.

Il quarto capitolo è dedicato dall’autore a un riferimento, straordinariamente analitico e attento, di due casi di counselling da lui stesso gestiti, il primo di un manager, il secondo di un consulente. Le riflessioni ex post che l’autore presenta in relazione ai due casi “clinici” registrano puntualmente l’insieme delle teorie e delle considerazioni più ampie esposte nei precedenti capitoli.

Sviluppo individuale e apprendimento esperienziale sono le due direttrici fondamentali attraverso le quali l’autore elabora le sue riflessioni all’interno, come già detto, di quel grande paradigma della capacità riflessiva, che è contemporaneamente una pre-condizione socio-culturale perché di counselling si possa cominciare a parlare, e un obiettivo di sviluppo personale di ogni vera pratica di counselling. Il counsellor nella prospettiva di Biggio non sostituisce le strutture egoiche del cliente, ma si affianca ad esse come io ausiliario, rivitalizzandole, riportandole a quelle capacità che le ingiurie dell’esperienza organizzativa hanno minato temporalmente e, se possibile, dopo l’opera di recupero, ampliandone le prospettive e le potenzialità.

Quando l’esperienza operativa è agita da un reflective pratictioner e quando quest’ultimo si sente impegnato dalla sfida di una elaborazione riflessiva utile per sé e per gli altri, i prodotti non possono non essere buoni. Questo è il caso dell’ultimo lavoro di Gianluca Biggio, che raccomandiamo non solo come strumento di formazione diretto, ma anche come un’utile guida per orientarsi in un universo di pubblicazioni e di pratiche, che fa dell’area del counselling oggi una realtà a dir poco confusa.

Giuseppe Varchetta

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